Di Giulio Albanese

Papa Francesco ha un dono straordinario: quello di saper scrutare i segni dei tempi, rendendo intelligibile il Verbo, la Parola forte di Dio. È quanto avvenuto lunedì 11 gennaio durante il tradizionale incontro con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. D’altronde, gli avvenimenti drammatici che segnano la nostra storia contemporanea interpellano in profondità la collettività umana a livello planetario. In questa prospettiva, la lettura dei segni nel loro insieme implica un discernimento, esige un supplemento di fede, speranza e carità e soprattutto un impegno fattuale per la promozione della Res publica dei popoli. Il fatto stesso, ad esempio, che il Papa abbia posto al centro del suo intervento la crisi migratoria, l’accoglienza dei profughi, andando al di là delle paure e dei pregiudizi, la dice lunga.

Dalle sue parole è emersa una visione lucida e obbiettiva della globalizzazione, rispetto alla quale occorre sempre e comunque affermare la dignità della persona umana creata a immagine e somiglianza di Dio. Ecco che allora, come egli ha detto, “il fenomeno migratorio pone un serio interrogativo culturale al quale non ci si può esimere dal rispondere: l’accoglienza può essere dunque un’occasione propizia per una nuova comprensione e apertura di orizzonte, sia per chi è accolto, il quale ha il dovere di rispettare i valori, le tradizioni e le leggi della comunità che lo ospita, sia per quest’ultima, chiamata a valorizzare quanto ogni immigrato può offrire a vantaggio di tutta la comunità”. Non siamo di fronte ad un’interpretazione “buonista” come spesso s’intende, quanto piuttosto al riconoscimento di un fenomeno che interpella le libere coscienze; uno stimolo a impegnare la propria libertà per promuovere una maggiore giustizia a servizio della verità.

Con sagacia ha poi toccato una questione scottante, quella legata alla distinzione che si è ormai consolidata soprattutto in Europa tra rifugiati che fuggono da guerre sanguinose e regimi totalitari e i cosiddetti migranti economici: “Duole constatare che spesso questi migranti – ha detto – non rientrino nei sistemi internazionali di protezione in base agli accordi internazionali”. Papa Bergoglio ha anche condannato la “cultura dello scarto e dell’offesa della vita umana, affinché nessuno si senta trascurato o dimenticato e altre vite non vengano sacrificate per la mancanza di risorse e, soprattutto, di volontà politica”. Contrariamente a quanto avviene spesso nei circoli della politica internazionale, papa Francesco ha colto la complessità del fenomeno migratorio mettendo in evidenza una serie di fattori che spesso vengono sottaciuti come certe “abitudini e prassi consolidate, a partire dalle problematiche connesse al commercio degli armamenti, al problema dell’approvvigionamento di materie prime e di energia, agli investimenti, alle politiche finanziarie e di sostegno allo sviluppo, fino alla grave piaga della corruzione”.

Di fronte ai rappresentanti dei 180 governi che intrattengono relazioni diplomatiche con la Sede Apostolica, il pontefice ha anche ricordato più volte la libertà religiosa, garanzia per la pace invitando a recuperare una sana antropologia, fondamento di tutte le decisioni politiche regionali, nazionali e internazionali. In questo contesto, richiamandosi all’incontro avuto lo scorso novembre con la comunità musulmana di Bangui, capitale della Repubblica Centroafricana, ha ribadito che “chi dice di credere in Dio dev’essere anche un uomo o una donna di pace, e dunque di misericordia, giacché non si può mai uccidere nel nome di Dio”. Questo in sostanza significa che

la strumentalizzazione della religione per fini eversivi costituisce una palese negazione del fondamento spirituale insito nel cuore di ogni vero credente.

Il Papa non ha potuto, naturalmente fare a meno di parlare del sacrosanto valore della famiglia, definita pertinentemente “scuola della misericordia”, ricordando che è proprio “dalla fraternità vissuta in famiglia, che nasce (…) la solidarietà nella società”. Una riflessione, la sua, realistica che ha stigmatizzato le minacce dei “crescenti tentativi da parte di alcuni per ridefinire la stessa istituzione del matrimonio mediante il relativismo, la cultura dell’effimero, una mancanza di apertura alla vita”.

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