Zenit, di Mirko De Carli

Dopo il discorso di fine anno del presidente del Consiglio Matteo Renzi, si sono susseguite dichiarazioni rilasciate mezzo stampa da diversi esponenti politici, tra cui i partiti del ‘centro’ alleato col Partito Democratico, la cui tesi è quella di arrivare ad un compromesso sul tema spinoso delle unioni civili. L’dea è quella di approvare le unioni civili senza concedere l’adozione alle coppie omosessuali e la parificazione al matrimonio civile come previsto dall’art.29 della Costituzione italiana.

Entriamo di più nel merito della questione: le unioni civili, sono la chiave con cui aprire la possibilità di ottenere diritti come quelli previsti per la famiglia naturale. Il rischio è quello di portare ad essere il matrimonio non più un istituto portante della società civile italiana ma un’autodeterminazione volontaria di due persone che decidono di stare insieme e di godere di alcuni diritti solo per il fatto che scelgono di convivere sotto lo stesso tetto. In Italia è in vigore il decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 30 maggio 1989 che approva un regolamento sul ‘nuovo ordinamento anagrafico‘ dove si definisce all’art.1 che ‘l’anagrafe della popolazione residente è la raccolta sistematica dell’insieme delle posizioni relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze che hanno fissato nel comune la residenza’.

Ma che cosa si intende per ‘famiglia anagrafica’? L’art. 4 ci viene in soccorso: ‘agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela, da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune’. Quindi sono riconosciute dalla Stato italiano come ‘famiglia anagrafica’ le persone che vivono insieme anche per ragioni differenti dal matrimonio sancito per Costituzione. L’anagrafe risulta essere nel nostro Paese il momento di registrazione di situazioni di fatto: il compito dell’anagrafe è quindi quello di rispecchiare la situazione reale registrando le persone statisticamente residenti in un determinato comune. Il regolamento in tal senso prevede appunto l’esistenza del solo legame affettivo come fattore sufficiente per la costituzione di una famiglia anagrafica. Il sindaco quindi, secondo quanto previsto dall’art.33 comma 2 del suddetto DpR ha il potere di autorizzare il rilascio di certificati o attestazioni che contengano ogni altro dato desumibile dai registri anagrafici: per questo il sindaco può ordinare all’anagrafe un’attestazione nella quale si certifichi che la coppia richiedente è una coppia di fatto legata da vincoli affettivi. Il rilascio dell’attestazione di famiglia anagrafica costituisce applicazione corretta della legge anagrafica perché si da piena attuazione della Legge che distingue le relazioni affettive da altre forme di convivenza e perché consente alle coppie che lo richiedono di poter esercitare i diritti che la legge oggi gli riconosce. In poche parole, grazie alla semplice attuazione e messa in pratica di un provvedimento normativo ‘DpR 223 del 1989’ risalente al governo guidato da Ciriaco De Mita (Prima Repubblica) è possibile certificare l’esistenza in Italia delle unioni civili.

Il fatto che non si intenda fare riferimento a questo provvedimento normativo fa immaginare altri scenari. Tra questi quello che vedrebbe prevalere la linea del compromesso ed un’immediata sentenza della Corte dei diritti europei (su richiesta di una coppia omosessuale italiana) che imporrà all’Italia di parificare i diritti previsti per i contraenti delle cosiddette ‘unioni civili’ a quelli previsti nel nord Europa. Che si vada nella direzione di far scivolare una legge per favorirne altre è la sentenza del tribunale di Roma che, non rispettando alcuna normativa italiana, ha attribuito il cognome della donna con cui la madre convive stabilmente alla bimba nata da un presente rapporto con un’altra persona (un uomo logicamente). A conferma del fatto che il termine ‘unioni civili’ sia insidioso e pieno di pericoli nascosti per l’Italia. Cioè potrebbe accadere che nel momento in cui si certificherà per legge, anche se inizialmente non previste, verranno regolamentate in Italia per sentenza pratiche come per esempio “l’utero in affitto”.

Per questi motivi sono diverse le opposizioni al ddl Cirinnà bis. Sono diversi quelli che invitano i sindaci ad accogliere le richieste delle tante famiglie anagrafiche nate per ‘vincoli affettivi’ attraverso l’applicazione del DpR 223 del 1989. Soluzione opportuna che eviterebbe l’approvazione di un disegno di legge insidioso come il Cirinnà bis. Occorre prima di tutto non svendere l’istituto della matrimonio fondato sulla famiglia naturale: questa è una vera priorità.

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