FrancescoDi Fabio Zavattaro

Non sono le folle, le luci dei riflettori, la chiave per leggere il Giubileo voluto da Papa Francesco. Lo avevamo già visto con l’apertura della Porta Santa nella Repubblica Centroafricana; lo vediamo confermato nel gesto compiuto alla struttura della Caritas alla Stazione Termini di Roma. A Bangui le mani del Papa hanno spinto una semplice porta di legno; alla Caritas è una porta come tante, che separa l’interno dall’esterno ad essere accompagnata dalle mani di Francesco.
Ma c’è una diversità importante: questa è la Porta Santa della Carità. Un segno, come ama Francesco, per farci ricordare che la Porta Santa, come tutte le Porte che si sono aperte nel mondo, non deve diventare una sorta di passeggiata, magari passeggiata di salute, visto che tra il “prima” e il “dopo” c’è il messaggio di cambiamento, di conversione da mettere al centro del cammino penitenziale.

Per Papa Francesco forse è proprio questa del centro Caritas la Porta più importante, perché è qui che il cristiano deve fare i conti con la propria coscienza.

“Il Signore ci dia la grazia di sentirci scartati” dice il Papa venuto quasi dalla fine del mondo; “noi non abbiamo alcun merito, soltanto lui ci dà la misericordia e la grazia. E per avvicinarci a quella grazia dobbiamo avvicinarci agli scartati, ai poveri, a coloro che hanno più bisogno”.
È dall’inizio del suo Pontificato che Francesco mette in primo piano gli ultimi, evangelicamente parlando. E lo fa scegliendo di compiere il primo viaggio andando a Lampedusa, per incontrare quanti hanno rischiato la vita nell’attraversare il mare scappando da guerre, violenze e miserie. Anche il giorno dell’inizio di Pontificato accanto a sé sul sagrato della basilica vaticana, non vuole i potenti della terra, ma un cartonero, Sergio Sancez, una persona che si guadagna da vivere raccogliendo i cartoni per le strade di Buenos Aires.
La Porta della Carità è dunque per Francesco occasione per indicare ai romani, è lui stesso a dirlo, il modo giusto per attraversare la Porta Santa: la carità, appunto. Non ci sono onorificenze e benemerenze che spianano il cammino: “non c’è lusso, non c’è la strada delle grandi ricchezze, non c’è la strada del potere: è la strada dell’umiltà; i più poveri, gli ammalati, i carcerati”.
Per usare le parole di Francesco, è la Porta degli scartati che deve guidare i passi in questo tempo dedicato alla misericordia; un anno giubilare per andare alle radici, all’essenziale della nostra esistenza. Quella della Stazione Termini è proprio la porta di tanti che hanno bisogno di una mano tesa, che chiedono di non essere dimenticati:

“sarebbe bello che ognuno di noi, ognuno di tutti i romani si sentisse scartato e sentisse il bisogno dell’aiuto di Dio”.

C’è infine un ulteriore riferimento che in questo gesto di Papa Francesco piace sottolineare: la struttura della Caritas è intitolata a don Luigi Di Liegro, il prete della carità, scomparso nel 1997. Un sacerdote che si è sempre battuto per gli ultimi, i poveri, gli scartati, come dice Papa Francesco. Don Luigi parla della chiesa che “non può dimenticare che è lo Spirito e non i suoi funzionari che realizza l’unità come la cattolicità, che anima la santità, garantisce l’apostolicità e ispira al servizio della parola e a quello della liturgia primizia della vita eterna”.
Quanta sintonia con Francesco, il quale ricorda che saremo giudicati alla luce di una frase: ”ero affamato e mi hai dato da mangiare, ero senza tetto e mi hai dato una casa, ero ammalato e sei venuto a trovarmi, ero in carcere e sei venuto a trovarmi. Gesù è nell’umiltà”.

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