Vincenzo BuonomoDi Maria Chiara Biagioni

Otto: questo è il voto, su una scala da uno a dieci, che il professore Vincenzo Buonomo, docente di diritto internazionale all’Università Lateranense, nominato da papa Francesco consigliere dello Stato vaticano, dà all’accordo finale della Cop21. 8 “perché  – spiega se consideriamo il punto di partenza e quello di arrivo si capisce che sull’accordo è riuscito a far convergere 195 paesi con posizioni diverse in base ai due principi dell’art. 2: ‘equità’ e ‘responsabilità comune ma differenziata’”. “Oltre non era possibile andare”.

Ci sono almeno 5 punti rilevanti nel documento finale di Parigi. La prima questione è la decisione di mantenere la temperatura del pianeta non solo al di sotto dei 2 gradi ma di sforzarsi in tutti i modi per non superare 1,5 gradi. “Fino a cinque anni fa – osserva il professore – l’obiettivo dei 2 gradi era un traguardo  molto lontano, vuol dire che c’è stato un passaggio importante nella Conferenza. Significa anche che all’interno degli Stati c’è una opinione pubblica che fa una pressione non indifferente sui governi”. L’altro aspetto è il consenso che c’è stato sull’accordo. “Paesi come India, Cina, gli Stati Uniti e l’Europa – fa notare Buonomo – sono partiti con posizioni completamente divergenti. Alla fine si è arrivati ad un consenso che mette insieme 195 paesi che emettono il 93% dei gas serra”. C’è poi la questione dei controlli: l’accordo afferma che sono volontari ogni cinque anni. “E’ vero – osserva Buonomo –  ma anche negli altri trattati in materia ambientale il controllo parte sempre dalla volontà degli Stati.

“Pensare a strutture di controllo esterne agli Stati è un’idea ancora irrealistica. Almeno oggi, ma a breve sarà una necessità”.

La questione del finanziamento. Nell’accordo si dice soltanto che bisogna finanziare gli obiettivi. La promessa dai Paesi sviluppati è di 100 miliardi di dollari a partire dal 2021 e nel 2025 la cifra dovrà essere rivista. “Questo elemento – spiega il professore – può significare che c’è stato un cambio di atteggiamento nei confronti dei paesi in via di sviluppo. Sono stati loro a bloccare una buona parte dei lavori della Conferenza. Dicevano: ‘perché noi oggi non possiamo utilizzare fonti di energia che hanno fatto ricchi i paesi del Nord del mondo?’”. Riguardo ai finanziamenti previsti nell’accordo, il professore mette le mani avanti: “Bisognerà vedere nei fatti concreti se questo finanziamento ci sarà e in che modo ci sarà. Anche per eliminare la fame si dice che bastano 267 miliardi di dollari fino al 2030, ma questi fondi per il momento non si sono  visti. Per questo dico che bisognerà vedere cosa succederà, partendo dalle promesse e arrivando alla concretezza”.

I punti deboli dell’accordo sono almeno 3. Ecco l’elenco del professore Buonomo: “il primo è che non c’è una proibizione nell’uso del carbone come invece si era pensato all’inizio; il secondo è che non si tocca il tema agricoltura che rappresenta uno dei settori dove c’è un forte impatto dal punto di vista delle emissioni ed è un settore strategico per la sopravvivenza del genere umano”.

“Il terzo punto debole è quello di aver escluso le emissioni degli aerei e delle navi per una ‘impossibilità’ di controllo”.

Il ruolo del Papa. A dirla con il linguaggio di diritto internazionale, è stato di “advocacy” e di “stakeholder”. Di advocacy perché “ha saputo provocare una riflessione più ampia, anche di autocritica, tra i decisori, da cui sono emerse soluzioni concrete”. Di stakeholder perché “se pensiamo all’impatto della sua Enciclica sui lavori della Conferenza, negli aspetti della protezione della casa comune, possiamo veramente dire che il Papa ne è stato protagonista. Ha seguito la Conferenza in tutte le sue fasi, tanto da parlarne all’Angelus del 6 dicembre e all’Angelus del 13 dicembre”. Allora possiamo stare tranquilli per il futuro dei nostri figli da qui a 50 anni? “No – risponde deciso Buonomo -, la tranquillità sul piano internazionale non esiste. Esiste la volontà e la buona fede. Se vengono esercitate abbiamo risultati positivi. Non può esistere tranquillità perché, molto spesso, significa solo immobilismo”.

 

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