EnocDi Riccardo Benotti

“Una richiesta ufficiale è stata fatta. Se davvero le cose sono andate così, la Fondazione chiederà che i soldi siano restituiti”. Mariella Enoc, presidente dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù, chiarisce le voci in merito ai fondi che sarebbero stati destinati alla ristrutturazione dell’appartamento di un cardinale: “Rispetto alla gestione passata ci sono verifiche in corso. C’è chi ha il dovere di effettuare i controlli, e lo sta facendo. Io ho voluto chiudere e ripartire con il mio stile. Senza condanne e giudizi sul passato”.

Lei vorrebbe che la Fondazione Bambino Gesù fosse una “casa di vetro”?
“Non vorrei, ma voglio che sia così. Se raccogliamo un euro, dobbiamo dire a tutti come viene utilizzato.

Daremo la rendicontazione continua di come abbiamo ricavato i denari e del loro impiego. È corretto che chi dona sappia perché lo fa e a quale fine.

E poi, ho sempre creduto che la trasparenza sia un valore irrinunciabile. Per me è stato così in tutte le aziende in cui ho lavorato, anche con il sindacato ho avuto rapporti schietti. Se dobbiamo lavorare insieme, non possiamo nasconderci dietro un dito. Figuriamoci in un Ospedale come quello del Papa, dove è fondamentale che tutti sappiano tutto. Anche perché ogni cosa che facciamo può essere vista e conosciuta”.

“Vite coraggiose” è il tema della prima campagna promossa dalla nuova Fondazione. È significativo che sia stata lanciata in occasione dell’apertura del Giubileo della Misericordia…
“Vogliamo mostrare che c’è stato un cambio di passo. Il Bambino Gesù, pur dovendo garantire la sostenibilità, prima di essere un’azienda deve essere una grande opera di carità intesa nel senso migliore: non soltanto assistenza, dunque, ma capacità di cura. La campagna si riferisce a quanti lavorano nella comunità dell’Ospedale: non solo i bambini e la famiglie ma anche i medici, gli infermieri e i ricercatori. Sono persone che si mettono coraggiosamente in gioco per aiutare i più fragili. È un primo contributo che vogliamo offrire al Giubileo della misericordia.

Ci vuole coraggio per assistere i bambini malati?
“Nulla è più tragico dell’esperienza del dolore dei bambini. E questa la sperimentano intensamente le famiglie ma voglio dire che la vivono anche tutti gli operatori sanitari e i ricercatori. È una battaglia che ogni giorno combattiamo”.

Come si svilupperà la campagna?
“Durante l’Anno Santo faremo parlare alcune persone che testimoniano il coraggio nelle scelte di vita e ci rivolgeremo soprattutto ai giovani. Abbiamo avuto gesti concreti di sostegno all’iniziativa: Intesa Sanpaolo ha messo a disposizione la rete di filiali per presentare il progetto, l’artista Mimmo Paladino ha realizzato un disegno che interpreta il senso della campagna e il cantante Al Bano ha composto per noi una canzone che è un inno dell’Ospedale. Abbiamo scelto una partenza rapida ma abbiamo davanti tre anni durante i quali sviluppare il lavoro”.

I fondi raccolti con “Vite coraggiose” saranno destinati alla ricerca e alla cura delle malattie genetiche rare, una “periferia” nell’ambito della salute…
“Si tratta di malattie la cui ricerca è assai costosa e non è sostenuta dalle comunità profit, perché i farmaci vengono utilizzati per un numero limitato di persone. Noi siamo accanto ai professori Dallapiccola, Locatelli e a tutti quelli che si spendono per questo tipo di ricerca. Sono le malattie più disattese, che meritano una risposta”.

L’Ospedale è impegnato in tante attività all’estero. Quali sono i progetti in Italia?
Quando sono arrivata, mi è stata segnalata la diminuzione del numero di bambini delle periferie disagiate e di quelli dei campi rom che affluivano all’Ospedale, anche per problemi burocratici. E così

abbiamo scelto di andare nelle periferie

e con la cooperativa Osa abbiamo attrezzato, per ora, due ambulatori mobili. Ci appoggiamo alle parrocchie e alla rete Caritas per offrire la disponibilità dei nostri medici a un’azione di educazione, prevenzione e valutazione di situazioni igieniche”.

L’utenza del Bambino Gesù sta cambiando? E la Fondazione cosa farà per sostenere il peso delle nuove richieste?
“La prevalenza di persone che si rivolgono all’Ospedale è ancora italiana ma gli stranieri aumentano. Alcuni vengono sostenuti da fondazioni estere ma la maggioranza chiede di poter accedere ai servizi senza avere la possibilità di pagare. La Fondazione deve farsi carico anche di queste situazioni: un solo trapianto di fegato, ad esempio, costa 150mila euro. E poi bisogna dare ospitalità alle famiglie, garantire i viaggi e assicurare lunghe degenze”.

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