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Papa Francesco: educare non è “selezionare dei super-uomini”

PapaZenit

Educare cristianamente. È questa l’esortazione che papa Francesco ha consegnato stamattina, in Aula Paolo VI, ai partecipanti al Congresso Mondiale promosso dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica.

Rispondendo a braccio ad alcune domande, il Pontefice ha affrontato diversi temi, uniti da un filo rosso all’insegna dell’inclusione e della trascendenza. Le domande gli sono state rivolte da fedeli giunti in Vaticano dalle “periferie” del mondo: Africa, Terra Santa, Asia, borgate italiane. Contesti spesso plurali, dove l’impegno della Chiesa si fa oltremodo difficile.

Francesco, rispondendo alla prima domanda su questo argomento, ha spiegato che “non si può parlare di educazione cattolica senza parlare di umanità, perché precisamente l’identità cattolica è Dio che si è fatto uomo”.

Il Santo Padre ha affermato che “fare una catechesi” è “una parte” del compito dell’educatore cristiano. “Educare cristianamente – ha dunque aggiunto – è portare avanti i giovani, i bambini nei valori umani in tutta la realtà e una di quelle realtà è la trascendenza”.

Pur ammonendo a non fare “proselitismo nelle scuole”, il Papa ha quindi sottolineato la tendenza ad “un neopositivismo”, cioè “educare nelle cose immanenti, al valore delle cose immanenti, e questo sia nei Paesi di tradizione cristiana sia nei Paesi” di altra tradizione.

“Per me, la crisi più grande dell’educazione, per farla cristiana, è questa chiusura alla trascendenza – ha commentato amaro -. Siamo chiusi alla trascendenza. Preparare i cuori perché il Signore si manifesti: ma nella totalità. Cioè, nella totalità dell’umanità che ha anche questa dimensione di trascendenza. Educare umanamente ma con orizzonti aperti. Ogni sorta di chiusura non serve, per l’educazione”.

Educazione che mai deve essere “selettiva ed elitista”, ha poi aggiunto il Vescovo di Roma. Il quale ha stigmatizzato i casi in cui l’accesso scolastico è vincolato alla disponibilità economica. “È una realtà che ci porta verso una selettività umana e che invece di avvicinare i popoli, li allontana; anche, allontana i ricchi dai poveri, che allontana questa cultura da un’altra”.

Il Santo Padre ha rilevato altri due elementi di crisi della scuola: “il patto educativo tra la famiglia e la scuola”, che è “rotto”, e il fatto che “tra gli operai più malpagati ci sono gli educatori”. Quest’ultimo aspetto testimonia – ha soggiunto – che “lo Stato non ha interesse: semplicemente. Se l’avesse, le cose non andrebbero così”. Ha così citato l’esempio di Don Bosco, il quale ha cercato “un’educazione di emergenza” per far fronte a una società intrisa di ideologie massoniche.

Anche oggi, la riflessione del Papa, “ci vuole educazione di emergenza”, perché “bisogna rischiare sull’educazione informale, perché l’educazione formale si è impoverita”, in quanto “è l’eredità del positivismo. Soltanto, concepisce un tecnicismo intellettualista e il linguaggio della testa. E per questo, si è impoverita. Bisogna rompere questo schema”.

Di qui la necessità ad aprire “nuovi orizzonti” e a “fare nuovi modelli”. Il Pontefice indica tre linguaggi attraverso i quali deve passare l’educazione, quello “della testa”, quello “del cuore” e quello “delle mani”. Tre linguaggi che debbono essere “in armonia” nella misura in cui “il bambino, il ragazzo pensi quello che sente e che fa, senta quello che pensa e che fa, e faccia quello che pensa e sente”.

Secondo il Vescovo di Roma, “il patto educativo è stato rotto per il fenomeno dell’esclusione”, così che “noi troviamo i migliori, i più selettivi, siano i più intelligenti, siano quelli che hanno più soldi per pagare la scuola o l’università migliore, e lasciamo da parte gli altri”. Di qui l’invito a praticare invece l’inclusione. Inclusione che consiste anche nell’insegnare “concetti, abitudini e valori”. E non nel selezionare dei “super-uomini”. Dietro a questo, ha detto, “sempre c’è il fantasma dei soldi: sempre!”. Soldi che “rovinano la vera umanità”.

In un contesto come quello attuale, segnato da ciò che lo stesso Francesco ha definito “guerra mondiale a pezzi”, il suo invito è ad andare nelle periferie, perché lì i giovani hanno “l’esperienza della sopravvivenza”, “hanno una umanità ferita”. La sfida degli educatori è proprio lavorare su queste ferite. “Non si tratta di andare là per fare beneficienza, per insegnare a leggere, per dare da mangiare: no. Questo è necessario, ma è provvisorio. È il primo passo”.

Francesco individua come nocciolo dell’impegno di un educatore far crescere questi giovani “in umanità, in intelligenza, in valori, in abitudini perché possano andare avanti e portare agli altri esperienze che non conoscono”. È quindi tornato sull’esempio di Don Bosco, che andava in periferia ma “non per fare beneficienza”.

La figura del muro da abbattere è la sintesi del messaggio offerto dal Papa. “I muri – ha detto in conclusione -. Difendersi, i muri. Il fallimento più grande che può avere un educatore, è educare ‘entro i muri’. Educare dentro ai muri: muri di una cultura selettiva, muri di una cultura di sicurezza, i muri di un settore sociale che è benestante e non può andare più”.