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Proteggere il suolo per preservare il futuro

Zenit di Monsignor Vincenzo Bertolone

«La nazione che distrugge il proprio suolo distrugge se stessa». Applicato al mondo intero più che ad una singola parte, il concetto di Franklin D. Roosevelt rende efficacemente l’idea dei pericoli ai quali si va incontro quando si omette di curare il Creato. Un rischio che i vescovi italiani, nel solco dell’enciclica Laudato si’, quest’anno pongono al centro della riflessione racchiusa nel messaggio diramato in concomitanza con la Giornata del ringraziamento, che oggi sarà celebrata in tutta Italia, come da mesi di fatto sta avvenendo anche nel resto del mondo, da quando l’ONU ha dichiarato il 2015 anno internazionale del suolo.

Il punto di partenza è sotto gli occhi di tutti: ci si trova di fronte a ogni genere di scempi ambientali, spesso aggravati dall’inerzia o dalla connivenza delle amministrazioni pubbliche. Una situazione che nasce perché si è perso il legame vitale con l’ambiente: l’uomo calpesta, imbratta, devasta le meraviglie della natura e della storia, mentre gli speculatori fanno man bassa di fiumi, coste e colline. È evidente l’urgenza di tornare a snebbiare la vista perché veda bene la mano che crea il cuore, che rispetta l’armonia del mondo, parte essenziale della nostra vita. Indicazioni che non mancano nel documento della Cei, dove si invita a mantenere fertile il suolo, difendendolo dalle coltivazioni estensive. A proteggerlo dal land grabbing, cioè il nuovo latifondismo praticato dalle multinazionali nei Paesi in via di sviluppo. Temi dai quali emergono le sfide odierne, prima fra tutte la custodia della fertilità, attraverso «un nuovo patto tra agricoltori e comunità locali, per trovare nuove soluzioni e andare oltre la dipendenza della chimica nelle pratiche produttive».

C’è poi il dibattito sulla destinazione d’uso del territorio, con l’esortazione «a uscire da una logica della provvisorietà, denunciando i costi del non fare», particolarmente elevate come dimostrano, in particolare, le continui alluvioni, figlie «dell’incombere dell’abbandono e di forme speculative e di sfruttamento».

Infine, l’arricchimento a danno dei più poveri: «Chi ha più soldi acquista terreni in maniera indiscriminata, con il rischio di distorcere le strutture agroalimentari di molte aree, orientandole a produzioni che ben poco hanno a che fare con le esigenze della popolazione locale». Evidente, sul piano generale, l’esigenza di ripensare all’importanza delle politiche agricole nonché ai loro processi di riforma per favorire un ritorno alla terra, specie dei giovani.

Problemi complessi, certo, da affrontare e possibilmente risolvere non tanto e non solo con la leva economica, quanto con la sfida educativa, già delineata nella Laudato sì’. Si tratta, in sostanza, di rinnovare la propria percezione del Creato, imparando a sentirsi parte di esso ed amministratori della sua gestione, sapendo, che «il mondo appartiene a chi lo rende migliore».