MontecitorioDi Luigi Crimella
In Parlamento sta per riaprirsi, con un’inattesa accelerazione, il dibattito sul riconoscimento delle “unioni civili”. Il Pd ha infatti depositato un nuovo testo che aggiorna e supera il precedente ddl Cirinnà, dal nome della relatrice prima firmataria, che prevede la conferma del riconoscimento delle coppie composte da persone dello stesso sesso. L’intento del partito di maggioranza relativa sarebbe di portarlo in discussione entro la metà di ottobre per arrivare quanto prima alla sua approvazione. La nuova legge darebbe luogo a un nuovo istituto giuridico di diritto pubblico, quello appunto delle “unioni civili”, riconoscendogli specifici diritti sociali. Tra questi la responsabilità genitoriale e adottabilità sul figlio anche naturale, avuto da uno dei due partner della nuova coppia omosessuale; la reversibilità della pensione (come per le coppie eterosessuali unite in matrimonio); l’iscrizione delle nuove “unioni” nell’archivio dello stato civile; il riconoscimento di obblighi di mutua assistenza dei partner, di contribuzione ai bisogni comuni, il diritto alla successione testamentaria.
La linea del Pd sulla “specifica formazione sociale”. Se venisse approvato questo ddl, quasi tutte le leggi e i regolamenti che riguardano il matrimonio dovranno essere applicati anche ai partecipanti alle nascenti unioni civili. Diversi esponenti del Pd, nel difendere il provvedimento che dichiarano essere comunque ancora “in fieri”, visto che il dibattito nelle aule parlamentari dovrebbe partire dal 13 ottobre, sottolineano che l’unione civile verrebbe riconosciuta come “specifica formazione sociale”, e non sarebbe sovrapponibile in toto all’istituto giuridico del matrimonio. Gli esponenti del partito di Renzi sottolineano che con la nuova formulazione sarà impossibile contrarre una unione civile tra minorenni; non si instaurerebbe un vincolo di affinità verso i parenti del partner e non ci sarebbe pertanto alcun obbligo alimentare nei loro confronti. L’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole scatterebbe in quanto genitori e non come “unione civile”. In caso di vedovanza non ci sarebbe conservazione del cognome e sarebbe vietata l’adozione del figlio di terzi.
Voci contrarie in Parlamento. Nel parlamento non tutti sono d’accordo. Mentre il Movimento 5 Stelle sta alla finestra e dichiara la disponibilità a votare il ddl a fronte di ulteriori aperture, diversi parlamentari dei partiti di centro che si rifanno all’ispirazione cristiana (quali Lupi, Schifani, Formigoni, Quagliariello, Gigli, Binetti, Giovanardi ecc.) hanno espresso forti critiche sulla decisione del Pd di accelerare, portando in aula il nuovo ddl con la scusa della “urgenza” (“come se questo fosse il principale problema degli italiani”, affermano in Ncd) e oltretutto saltando il suo esame preventivo in commissione parlamentare, come prescrive la Costituzione. Questi parlamentari parlano apertamente di “forzatura” per dare vita a una vera e propria “omologazione matrimoniale”, scardinando la genitorialità uomo-donna (prevista dalla Costituzione) e aprendo le porte al cosiddetto “utero in affitto” (tramite l’adottabilità del figlio anche naturale del partner, che potrebbe essere ottenuto in ipotesi anche tramite una maternità surrogata). L’on. Gigli, che è anche presidente nazionale del Movimento per la vita, ad esempio sottolinea che la maternità surrogata “è vietata dalla nostra legislazione e dovrebbe essere perseguibile anche in caso fosse effettuata all’estero. Il non farlo significherebbe ammettere lo sfruttamento di donne bisognose dei paesi poveri, che accetterebbero una gravidanza in cambio di denaro”.
Un “errore” che forse si può ancora evitare. Il presidente emerito della Consulta, Cesare Mirabelli, ha espresso in una intervista su “Avvenire” (8 ottobre) numerose perplessità su questo ddl parlando di “occasione persa” e di una equiparazione pressoché totale al matrimonio, al di là dei giochi lessicali. Oltre ad aver rilevato un fine lavoro di “toelettatura” del testo proposto, con la “ripulitura dei richiami più espliciti sul piano terminologico al matrimonio”, Mirabelli ne sottolinea al tempo stesso i numerosi e sostanziali “rimandi alla disciplina del matrimonio stesso”. Fa poi presente che oltre all’apertura alla cosiddetta “stepchil adoption”, possibilità di adottare il figlio anche adottivo dell’altro coniuge dentro la coppia omosessuale, nel ddl si può arrivare facilmente all’“utero in affitto”: “Il divieto previsto dalla legge 40 – ha detto a questo riguardo nell’intervista – in base ad una giurisprudenza ormai ricorrente, può essere aggirato recandosi all’estero, in un Paese in cui la pratica è ammessa”. A suo avviso “interrompere il tentativo in corso di arrivare su una materia così delicata a una normativa condivisa è un errore, prima ancora che sul piano giuridico, sul piano sociale. Si darebbe vita a una norma gravemente divisiva, un errore che forse si può ancora evitare”. Che questo rischio esista lo dimostrano le voci e gli interventi, a vari livelli, di singoli e associazioni varie, che denunciano i diversi aspetti discutibili contenuti nel ddl, invocando forme di protesta più aperte ed evidenti.

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