AlbertoDIOCESI – Abbiamo intervistato Alberto Maranesi, fotografo presente all’ultimo pellegrinaggio diocesano dell’Unitalsi a Lourdes appena conclusosi.

Come è nato il tuo legame con Lourdes?
Ho iniziato il mio percorso di fede a San Filippo Neri con il parroco Don Gabriele Paoloni. Per caso, siamo partiti per la prima volta insieme a Don Guido Coccia a quel tempo Guido, nel 2006. Non conoscevamo nessuno e Guido suonava sempre la chitarra. Una caratteristica famosa dei treni di San Benedetto era che si condivideva insieme il cibo. Era come trovarsi a una sagra. È stato per “colpa” di Guido se ho iniziato a collaborare con l’unitalsi. Dopo aver collaborato 9 anni con radio azzurra, Guido mi fece fare un video per l’unitalsi. Siccome le foto che mi aveva fornito non mi sembravano utilizzabili per il video, mi comprai la mia prima reflex, grazie a Giorgio Consorti. Da li iniziò il mio percorso fotografico. Iniziai a collaborare anche con altri fotografi e da due anni sono un fotografo professionista e realizzo servizi per matrimoni.

Raccontaci qualcosa di più sul tuo amore per la fotografia.
C’è stato un episodio che ha cambiato il mio modo di vedere le foto a Lourdes. Prima ero frenetico, facevo foto in continuazione. Nel 2008, mentre ero sulla “prateria”, mi trovavo sotto all’altare e stavo facendo fotografie mentre partecipavo alla Messa. Vicino a me c’era un ragazzo che aveva gravi problemi di salute. Gli guardo il cartellino: si chiamava Alberto come me. Questo mi ha dato la scossa per cercare di raccontare qualcosa: di testimoniare più che fare una fotogallery generica. Ho cambiato il mio sguardo. Negli anni ho proseguito la partecipazione come fotografo cercando di comunicare qualcosa, e di raccontare con le immagini quello che potrebbe essere l’esperienza di Lourdes.

C’è qualche aneddoto in particolare che ricordi?
L’organizzazione del pellegrinaggio del 2008, quando mi sono trovato ad essere il responsabili dei giovani Unitalsi. In realtà non c’è un aneddoto particolare, ma ricordo l’entusiasmo delle persone. L’unitalsi non è una divisa, non è una processione, non sono gli stendardi, ma sono le persone che la compongono. Non serve essere perfetti. Quello che importa è il servizio, che viene svolto nel silenzio e nella fatica. È questo che vorrei raccontare. Quest’anno cercherò di sviluppare la tematica della comunione. Desidero raccontare questa simbiosi tra persona ammalata e non, per vedere la sinergia che si trova.

Parlami del premio
Anche questa volta, ho partecipato al concorso per caso. Sono andarto sul sito dell’unitalsi, spinto a partecipare anche da Fedeli (Symbol). Ho partecipato con tre foto, alla via dei colori, che sono andate in finale. Più tardi, parlando con il FIOF scoprii che sarebbero state stampate, e per pubblicarle volevano un piccolo contributo. Gli dissi che quest’anno non potevo salire e mi risposero che ero in ballottaggio per vincere. Poi arrivò la comunicaizione che avevo vinto, assieme ad altri fotografi, un giornalista ed un cameraman. Ognuno di noi ha realizzato delle foto per la pubblicazione di un libro il cui ricavato andrà all’unitalsi.
Sono stato a  contatto con i professionisti, e quindi mi sono rimesso in gioco per questa nuova sfida. Stando a contatto con altri fotografi si impara sempre.

In questo pellegrinaggio cosa hai cercato di raccontare attraverso le foto?
Sono tornato a Lourdes dopo 3 anni.
Quando vai a Lourdes non sai mai perché vai, ma lo comprendi al tuo rientro
Anche quest’anno ho cercato di raccontare qualcosa delle mie emozioni a chi poi vorrà vedere le foto.

Alberto e Giorgio

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