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Dove va l’8 per mille? Dagli italiani ai Paesi più poveri

maurpdi Maria Chiara Biagioni

Approvati 149 progetti per una somma totale di 10.252.159 euro. Dalla Repubblica democratica del Congo dove è stato finanziato l’ampliamento e la costruzione del Centro Bethesda per la formazione professionale di ragazzi portatori di handicap alla Tanzania dove si sosterrà un progetto per contribuire a ridurre il tasso di mortalità materno-infantile, dovuta spesso a parto non assistito e alla trasmissione verticale di Hiv/Aids. È l’ultimo grande sforzo compiuto dal Comitato Cei per gli interventi caritativi a favore del terzo mondo. Si è incontrato nei giorni scorsi a Roma, presso la sede della Conferenza episcopale italiana, in via Aurelia, per approvare quei progetti che verranno sostenuti con i fondi dell’8 per mille. Ogni anno il Comitato si riunisce 8 volte con lo scopo delicatissimo di decidere dove investire i circa 85 milioni di euro che la Cei riceve ogni anno dai contribuenti italiani e che vengono destinati a progetti di sviluppo e di formazione nei Paesi del terzo mondo. Don Leonardo Di Mauro è il direttore del Comitato ed è appena tornato da un viaggio in Kosovo.

Don Leonardo, quanti progetti “bussano” ogni anno alla porta della Cei?
“Noi riceviamo ogni anno 1.300 progetti circa e ne vengono approvati 750/800 totalmente o parzialmente. Per cui ogni volta che si riunisce, il Comitato può riuscire ad assegnare dai 10 ai 20 milioni per un totale di circa 100 progetti”.

Quali criteri vengono usati per la scelta di un progetto?
“Prima di tutto si vede se il progetto è di utilità per il Paese interessato e se i poveri sono la finalità principale. Dopo si verifica se il budget è congruo con quello che si vuole fare. In genere possiamo dire che noi accogliamo tutti quei progetti che sono a carattere di formazione e di sviluppo. Devono essere delle start-up nei Paesi poveri che permettono di far nascere un qualcosa che poi possibilmente può mantenersi e progredire con le proprie gambe”.

Come avviene la valutazione?
“Noi, qui nell’ufficio, riceviamo i progetti e li analizziamo tecnicamente per vedere se c’è tutto quello che il nostro regolamento richiede e se il budget è scritto bene ed è esauriente. Quando il progetto è pronto, viene presentato a ciascuno dei membri del Comitato che è composto da esperti volontari e cioè professori, medici, giornalisti, persone che conoscono i Paesi poveri. Ognuno riceve per tempo il progetto per studiarlo e analizzarlo. In sede di Comitato c’è un confronto in seguito al quale il progetto può essere approvato o rigettato, oppure valutato parzialmente. Si tratta, quindi, di una decisione presa sempre collegialmente”.

C’è un garante sul posto?
“Il garante sul posto è la Conferenza episcopale del Paese e il vescovo locale”.

Perché l’Italia? Perché la Chiesa italiana è ricca?

“Semplicemente l’Italia ha la fortuna di avere questa possibilità dell’8xmille grazie al Concordato tra la Chiesa e lo Stato e, quindi, dobbiamo dire grazie a quei fedeli italiani, ma anche a quanti non sono praticanti, che hanno ancora grande fiducia nell’affidare queste somme alla Chiesa”.

Che mondo passa in questo Ufficio?
“Passa tanto mondo povero rappresentato in primis da missionari e missionarie. Quindi spesso membri di Congregazioni religiose o anche fidei donum. La povertà toglie la dignità e va a colpire le condizioni di vita. Talvolta si crede che la povertà sia dovuta all’inerzia, alla mancanza di volontà d’ingegnarsi. Spesso invece i poveri sono poveri perché impoveriti da un sistema economico che noi stessi abbiamo creato dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sono sempre più poveri”.

Come risponde a chi dubita della destinazione reale dei fondi dell’8xmille?

“Posso rispondere a queste persone dicendo che effettivamente a volte possono avere ragione guardando a come poche persone, per fortuna poche, anche all’interno della Chiesa utilizzano male questi fondi. Però posso dire loro di guardare un po’ più lontano. Intanto al tantissimo bene che si opera per i poveri, anche qui in Italia. Certo, anche noi possiamo fare qualche errore, qualcuno può approfittare di questi fondi o usarli male, però noi ce la mettiamo tutta per gestirli al meglio e con la massima trasparenza. Un giorno è venuto qui in ufficio un frate eritreo che è attualmente in Camerun. Indossava un saio francescano molto rovinato, consumato. Non era venuto per chiedere qualcosa ma semplicemente per dire grazie: con un piccolo progetto di due anni fa gli avevamo permesso di rifare il pavimento in un carcere del Camerun dove i carcerati avevano i piedi nel fango perché era quasi a cielo aperto. Lui ringraziava dicendo che se non ci fosse stato un intervento della Chiesa, a queste persone non avrebbe pensato nessuno, tanto meno lo Stato locale. Ecco, questo piccolo episodio mi ha fatto capire fino a dove può arrivare quella semplice firma che mettiamo sulla dichiarazione dei redditi. Arriva fino a là”.