iusSolipdi Luigi Crimella

Dallo “ius sanguinis” allo “ius soli soft” e allo “ius culturae”: potrebbe essere questa la sintesi, quasi per slogan, della legge in discussione al Parlamento per allargare la possibilità di concessione della cittadinanza italiana ai minori figli di stranieri residenti sul nostro territorio. Nei giorni scorsi si è avuto un primo via libera, in commissione Affari costituzionali della Camera, al provvedimento per superare la legge 91 del 1992, la quale prevede la concessione della cittadinanza a immigrati extra-Ue dopo 10 anni di residenza legale, oppure (se nati in Italia) al raggiungimento della maggiore età. La nuova legge, se approvata, introdurrà nel nostro ordinamento un nuovo concetto di cittadinanza, che metterà fine allo “ius sanguinis” fin qui vigente.
Forme giuridiche vigenti e paesi che le adottano. Due parole sui concetti giuridici in gioco: per “ius sanguinis” si intende che la cittadinanza di un figlio segue quella dei genitori al momento della nascita (diritto del sangue). Lo “ius soli”, invece, descrive il diritto di un neonato di acquisire la cittadinanza di un determinato paese per il solo fatto di essere nato sul suo territorio (suolo), indipendentemente dalla cittadinanza di papà e mamma. Per “ius culturae” si intende che si diventa cittadini di un paese a seguito della frequenza di determinati corsi scolastici e della dimostrazione di aver acquisito un bagaglio culturale e linguistico. Nelle Americhe lo “ius soli” è quasi dovunque automatico: se nasci negli Usa sei di diritto uno statunitense. Anche in alcuni paesi europei funziona così, seppure con delle limitazioni (come in Francia, Portogallo, Regno Unito, Finlandia, Grecia). Da noi invece vige finora lo “ius sanguinis”, mentre lo “ius soli” trova applicazione solo in casi estremi e molto rari: se un bimbo è figlio di apolidi o di genitori ignoti, oppure se lo stesso neonato è figlio di genitori noti ma viene ritrovato sul nostro territorio con babbo e mamma lontani o irreperibili.
Cosa dice la legge in discussione. Nel ddl a firma dell’on. Marilena Fabbri (Pd), si prevede l’introduzione di alcune norme che rendono possibile usufruire di una forma “temperata” di “ius soli”: i minori figli di stranieri nati in Italia avranno il diritto di accedere alla cittadinanza italiana a condizione che frequentino un intero ciclo scolastico (“ius culturae”), oppure che almeno uno dei loro genitori sia in possesso di un permesso di soggiorno comunitario di lunga durata. A chiedere questi “paletti” sono stati i partiti di Scelta Civica e Ncd, per limitare il rischio di accesso indiscriminato alla cittadinanza italiana, anche alla luce dei numerosi arrivi di migranti e profughi di questi ultimi mesi. Tra le eccezioni e varianti previste dal ddl c’è anche quella di una frequenza da parte del minore arrivato in Italia sotto i 12 anni di età, per almeno 5 anni, di istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale; oppure, se arrivato tra i 12 e i 18 anni, se avrà risieduto per almeno 6 anni e frequentato un percorso scolastico o professionale conseguendo un titolo. O anche se almeno un genitore sia nato in Italia e risulti regolarmente soggiornante da almeno un anno. Diverso è il caso dei figli di irregolari, privi di permesso di soggiorno, per i quali spesso non scatta la registrazione alla nascita (questione sollevata da “Avvenire”, 30 settembre). Questi bambini addirittura “non esistono” in quanto non c’è un atto ufficiale che ne attesti giorno e luogo di nascita.
Quali sono i “numeri” in gioco. Rispetto agli oltre 5 milioni di stranieri presenti regolarmente sul nostro territorio, i minorenni che potrebbero beneficiare di questa nuova legge, divenendo in pochi anni cittadini italiani, sono oltre 900mila. Infatti, degli oltre 1 milione di minori stranieri, ben 925.569 hanno una cittadinanza non comunitaria. C’è da dire che l’Italia è ben posizionata nella classifica sulla “naturalizzazione” degli stranieri. Infatti lo scorso anno da noi hanno acquisito la cittadinanza quasi 130mila stranieri, con un tasso del 26 per mille (in rapporto ai presenti regolarmente). Le regioni dove sono maggiori queste naturalizzazioni sono quelle del nord (Val d’Aostra, Lombardia, Veneto, Piemonte ecc.), mentre in quelle del sud il tasso è molto più basso: 8,9 in Campania, 10,4 in Basilicata, 16,3 in Puglia, 15,2 in Sicilia, indice di difficoltà procedurali e di messa in regola degli stranieri presenti. Comunque l’Italia è piuttosto indietro nel tasso di naturalizzazione, se compariamo il nostro 26 per mille con l’80 per mille della Svezia o con i 30-40 per mille di paesi quali Francia, Gran Bretagna, Germania ecc.
Cosa ne pensa l’associazionismo e il mondo del volontariato. Non tutti sono contenti di come sta camminando la nuova legge sullo “ius soli temperato” o “ius culturae”. Ad esempio il cartello “L’Italia sono anch’io” (www.litaliasonoanchio.it) composto da una ventina di organizzazioni della società civile: Acli, Arci, Asgi-Associazione studi giuridici sull’immigrazione, Caritas Italiana, Centro Astalli, Cgil, Cnca-Coordinamento nazionale delle comunità d’accoglienza, Comitato 1° Marzo, Emmaus Italia, Fcei – Federazione Chiese Evangeliche In Italia, Fondazione Migrantes, Libera, Lunaria, Il Razzismo Brutta Storia, Rete G2 – Seconde Generazioni, Tavola della Pace e Coordinamento nazionale degli enti per la pace e i diritti umani, Terra del Fuoco, Ugl Sei, Legambiente, UIL, UISP e dall’editore Carlo Feltrinelli. Questo variegato mondo ha sollevato diverse osservazioni, a partire dalla critica al vincolo del permesso di soggiorno di lunga durata di uno dei genitori o al possesso di alloggio idoneo e di requisiti di reddito. Piuttosto contrari alla nuova legge, con motivazioni diverse, sono Fi, Lega nord, Sel e Movimento 5 Stelle. È presumibile che il percorso della legge non sarà molto facile, anche se la maggioranza è convinta di vararla insieme alla riforma del Senato e prima della legge di stabilità.

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