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Papa Francesco “Penosi i sistemi penitenziari che non guariscono ferite, né generano opportunità”

Papa FrancescoDi Salvatore Cernuzio da Zenit

Non poteva mancare, come in tutti i viaggi internazionali del Papa, l’abbraccio ai detenuti. Una tappa essenziale nella pastorale bergogliana. Anche a Philadelphia, Francesco si reca quindi in elicottero all’Istituto di Correzione Curran-Fromhold, in centro città, per incontrare i circa 2.000 ospiti della struttura penale, la più grande di Philadelphia inaugurata nel 1995 e intitolata a due agenti della polizia carceraria uccisi durante il servizio a Holmesburg nel 1973.

Accolto dal Commissioner of Prisons, dal direttore e dal cappellano della prigione, il Pontefice si intrattiene più a lungo del previsto, salutando uno ad uno i centinaia di reclusi, benedicendoli e consegnando ad ognuno un rosario. I detenuti ricambiano offrendo al Papa diversi doni tra cui una sedia in legno, foderata di bianco, interamente realizzata da loro, che Bergoglio apprezza vivamente. “La sedia che avete fatto è molto bella. Davvero molto bella. Bel lavoro. Lo porterò a Roma. Grazie !”.

Segue l’incontro con una trentina di persone dello staff e del personale, dopodiché il Papa si sposta nella palestra dove erano riuniti un centinaio di ospiti dell’Istituto, ai quali si presenta come un “pastore” e come un “fratello” venuto a “condividere la vostra situazione e a farla anche mia”. “Sono venuto – dice nel suo discorso in spagnolo – perché possiamo pregare insieme e presentare al nostro Dio quello che ci fa male, anche quello che ci incoraggia, e ricevere da Lui la forza della Risurrezione”.

Il Santo Padre esprime quindi la sua gratitudine “per l’accoglienza e per la possibilità di stare qui con voi a condividere questo momento della vostra vita”. Un momento – osserva – “difficile, carico di tensioni”; un momento “doloroso non solo per voi, ma per le vostre famiglie e per tutta la società”. Perché “una società, una famiglia che non sa soffrire i dolori dei suoi figli, che non li prende sul serio, che li tratta come cose ‘naturali’ e li considera normali e prevedibili, è una società ‘condannata’ a rimanere prigioniera di sé stessa, prigioniera di tutto ciò che la fa soffrire”.

Come ai detenuti dell’Istituto Penale per Minori di “Casal del Marmo”, che visitò nell’indimenticabile Giovedì Santo 2013, il Papa ricorda ai carcerati di Philadelphia la pagina del Vangelo in cui Gesù lava i piedi ai suoi discepoli durante l’Ultima Cena. Un gesto che Cristo continua a compiere ancora oggi, lavando i piedi “dei suoi discepoli di ieri e di oggi”. “Vivere è camminare, vivere è andare per diverse strade, diversi sentieri che lasciano il loro segno nella nostra vita”, spiega il Vescovo di Roma, ribadendo ancora una volta che “Gesù ci cerca, vuole guarire le nostre ferite, curare i nostri piedi dalle piaghe di un cammino carico di solitudine, pulirci dalla polvere che si è attaccata per le strade che ciascuno ha percorso”.

Il Figlio di Dio, aggiunge, “non ci chiede dove siamo andati, non ci interroga su che cosa stavamo facendo”, ma, al contrario, “viene incontro a noi per calzarci di nuovo con la dignità dei figli di Dio”. Egli vuole “aiutarci a ricomporre il nostro andare, riprendere il nostro cammino, recuperare la nostra speranza, restituirci la fede e la fiducia”. Vuole “che torniamo alle strade, alla vita, sentendo che abbiamo una missione; che questo tempo di reclusione non è stato mai sinonimo di espulsione”. “Vivere comporta ‘sporcare i nostri piedi” per le strade polverose della vita, della storia”, afferma Papa Francesco, e allora “tutti – io per primo – abbiamo bisogno di essere purificati, di essere lavati”. Tutti “siamo cercati da questo Maestro che ci vuole aiutare a riprendere il cammino”.

È perciò realmente “penoso” riscontrare “il generarsi di sistemi penitenziari che non cercano di curare le piaghe, guarire le ferite, generare nuove opportunità”. Come anche è “doloroso” agli occhi del Successore di Pietro constatare che “talvolta si crede che solo alcuni hanno bisogno di essere lavati, purificati, non considerando che la loro stanchezza, il loro dolore, le loro ferite sono anche la stanchezza, il dolore e le ferite di una società”.

Alla luce di ciò, la vita di chi sta dietro le sbarre può avere un unico scopo, dice il Papa: “Tendere la mano per riprendere il cammino, tendere la mano che aiuti al reinserimento sociale”. Un reinserimento “di cui tutti facciamo parte, che tutti siamo chiamati a stimolare, accompagnare e realizzare”. Questo è “cercato e desiderato da tutti: reclusi, famiglie, funzionari, politiche sociali e educative”, perché “benefica ed eleva il livello morale di tutta la comunità”.

Lo “stile” è quello di Gesù – rimarca il Santo Padre – che ci invita “a guardare il mondo con i suoi occhi”. Occhi che “non si scandalizzano della polvere della strada, anzi, cerca di pulire e di sanare, cerca di rimediare”. Su questo esempio siamo dunque chiamati “a lavorare per creare nuove opportunità: per i detenuti, per i loro familiari, per i funzionari; un’opportunità per tutta la società”.

In particolare tutti coloro che fanno parte del Curran-Fromhold devono essere dunque “artefici di opportunità, artefici di cammino, di nuove vie”, sollecita Francesco. “Tutti – conclude – abbiamo qualcosa da cui essere puliti, purificati. Che tale consapevolezza – è il suo auspicio – ci risvegli alla solidarietà, a sostenerci e a cercare il meglio per gli altri”.