colosseoDi Luigi Crimella
Un blogger di media età, tale “Dinor50”, si è dilettato nei giorni scorsi a elencare nel sito web di un noto quotidiano nazionale “ciò che è o non è di sinistra”, richiamando Celentano che aveva inventato la famosa divisione tra chi è “rock” e chi invece è “lento”. A scatenare la sua fantasia era stato lo sciopero di 150 custodi del Colosseo che venerdì 18 settembre scorso hanno costretto la Sovrintendenza della Capitale a chiudere per mezza giornata il monumento più famoso di Roma (e forse del mondo), mentre migliaia di turisti cuocevano sotto il sole, in attesa che riaprisse. E questo “Dinor50” ha sancito che “non è di sinistra”: “1-Lasciare 4mila turisti in fila davanti al Colosseo; 2-Attaccare con le molotov il cantiere della TAV; 3-Essere assenteista; 4-Impedire a qualcuno (i cosiddetti crumiri) di entrare al lavoro; 5-Bloccare migliaia di passeggeri nella metropolitana di Roma; 6-Far riassumere in Alitalia i dipendenti sorpresi a rubare; 7-Difendere l’art.18 per le grandi aziende fregandosene delle piccole; 8-Rigettare una proposta buona solo perché viene da un avversario; 9-Tollerare gli abusi; 10-Essere innamorati delle tasse; 11-Discutere all’infinito senza mai decidere; 12-Custodire il passato perdendo di vista il futuro; 13-Andare in pensione a 60 anni con la vita media a 85; 14-Essere contro il merito; 15-Etichettare persone e cose senza conoscerli; 16-Avere paura dei cambiamenti”. Riportiamo per intero il suo elenco perché illustra meglio di tanti ragionamenti dove guarda oggi l’opinione pubblica, e perché la decisione del governo di varare un decreto-lampo per inserire musei e luoghi d’arte tra i “servizi pubblici essenziali”, assunta nel pomeriggio dello stesso giorno con un testo di un solo articolo, sia passata col quasi generale compiacimento dei media e dell’opinione pubblica.
Tra giurisprudenza vigente e buon senso. Per “servizi pubblici essenziali” il nostro ordinamento intende tutti quelli erogati dal settore pubblico o anche dai privati per garantire a ogni cittadino il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente garantiti. L’elenco è abbastanza complesso: si va dalla tutela della vita (ospedali, pronto soccorso) a sicurezza, igiene pubblica, protezione civile, smaltimento rifiuti e tutela dell’ambiente, dogane, energia, giustizia, trasporti, pensioni, salari e stipendi, istruzione, poste, informazione radio-tv pubblica. C’è anche chi inserisce tra i servizi “essenziali” la connessione internet, come dimostra l’impegno del nostro governo per dotare il Paese della “banda larga”. La giurisprudenza vigente si fonda sulla legge 146 del 1990, che per prima ha introdotto una specifica disciplina, perfezionata con la legge 80 del 2000. Mentre solo la polizia e le forze armate sono tuttora impossibilitate a scioperare durante il servizio, per il resto le leggi suddette regolano l’esercizio del diritto di sciopero in tutti i campi su elencati, attraverso il bilanciamento del diritto dei lavoratori da un lato e il mantenimento dei servizi erogati ai cittadini dall’altro. A valutare le modalità di scioperi eventualmente indetti è il Garante degli scioperi che, attraverso apposite commissioni di garanzia, punta anzitutto alla conciliazione e all’eventuale “congelamento” della controversia, comunque chiedendo ai richiedenti di annunciare lo sciopero con almeno 5 giorni di anticipo, per non danneggiare gli utenti.
Come si fa negli altri Paesi (Europa, Giappone, Canada). Il braccio di ferro tra governo e scioperanti del Colosseo ha prodotto il risultato di far inserire musei e centri artistici tra i “servizi pubblici essenziali”, essendo l’arte e il patrimonio archeologico uno dei punti di forza (e di reddito) del nostro Paese a livello mondiale. Il fatto che oggi i custodi di Paestum, o degli “Uffizi” a Firenze, oppure degli scavi di Pompei, sappiano che può scattare la precettazione, renderà molto prudenti le parti sindacali più accese. Chi ha parlato di attacco al “legittimo diritto di sciopero” è stata sostanzialmente solo la Cgil, guidata da Susanna Camusso, ma la sua voce contraria al decreto – insieme a quella di pochi altri sindacalisti e non – è stata surclassata dai favorevoli a una regolamentazione più decisa. Prima di cantare vittoria sulla presunta fine degli “scioperi selvaggi” in questo campo bisognerà però far passare del tempo e vedere se le maestranze di musei, pinacoteche, scavi, siti tutelati ecc. accetteranno la nuova disciplina, oppure inventeranno altre forme di protesta. In altri Paesi europei, ad esempio, per uno sciopero occorre arrivare al 70% di adesioni del totale dei lavoratori, mentre in Giappone, Regno Unito e Canada viene addirittura chiesto un referendum preventivo tra gli iscritti. Quello che è in gioco, dopo i fatti del Colosseo e il nuovo decreto approvato, è il profilo del sindacato del domani, chiamato a superare da un lato alcune permanenti fissità ideologiche, e dall’altro ad andare oltre una frammentazione di sigle che finora ha fatto gioco a un certo disfattismo generalizzato.

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