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Sorelle Clarisse: scegliamo la paura omicida o il donarci all’altro?

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immigrazioneDIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza sulle letture di domenica 21 settembre.

Il brano del Vangelo, che abbiamo ascoltato domenica, è talmente intenso che è difficile afferrarne con la mente tutti i particolari nel breve spazio della proclamazione liturgica, ma, soprattutto, si fa fatica a contenere nel cuore tutti i sentimenti che esso suscita.

Procedendo nel racconto di Marco (9,30-37), la liturgia “salta” l’episodio della Trasfigurazione e la guarigione del ragazzo indemoniato, e ci porta in mezzo al gruppo dei discepoli di Gesù che, al seguito del Maestro, fa ritorno a Cafarnao.
Essi attraversano la Galilea in incognito perché Gesù non vuole che lo sappia nessuno, forse perché vuole essere solo con i suoi amici a cui ha da dire una cosa che gli pesa nel cuore: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà».
Glielo aveva già detto, con altre parole, domenica scorsa, attirandosi i rimproveri di Pietro; glielo ridice oggi, dopo l’ubriacatura del Tabor, ma i discepoli preferiscono non rispondere, anzi lo lasciano da solo a portare il peso di quelle parole che ad essi fanno tanta paura e cominciano a ragionare e discutere per conto loro.

Fa’ un po’ impressione questo Gesù emarginato dai suoi stessi amici, che, una volta a casa, è costretto a chiedere loro: ma «di cosa stavate discutendo per la strada?».

I discepoli tacciono, ma il narratore, Marco, ci svela i loro ragionamenti: “chi di noi è il più grande?”.
Marco non ci dice che Gesù abbia intuito i loro pensieri, ma ci mostra un Maestro, che, ancora una volta “si siede” e, con dolcezza, “perde” del tempo per far ripassare ai suoi l’economia del Padre, per la quale chi vuole essere il primo deve farsi l’ultimo e il servo di tutti.
Nell’economia del Regno, inoltre, non conta essere i “più grandi” (anche perché la porta del Regno è stretta!), ma conta tantissimo essere i “più piccoli”: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
E chi di noi non vorrebbe essere quel bambino che Gesù ha posto in mezzo ed abbracciato? Il pensiero corre ai tanti bambini le cui immagini sono passate sotto i nostri occhi: piccoli fuggiaschi stanchi impauriti sporchi affamati e, anche, tragicamente morti nel tentativo di raggiungere una terra dove poter crescere …. Il “figlio dell’uomo” di cui ci parla oggi Gesù è ogni uomo, la cui vita è inevitabilmente “consegnata” nelle mani degli altri uomini, nelle nostre mani: scegliamo il silenzio, il rifiuto, la paura omicida di chi vuole essere il più grande; oppure l’abbraccio, il servizio, il dono di chi, invece, come un bambino, si “consegna” all’altro accettando anche il rischio di morire perché ci sia una nuova vita?