calcioDi Francesco Morrone
Nelle ultime settimane l’emergenza dei migranti ha mostrato al mondo un’Europa spaccata, litigiosa e molto lontana dai valori su cui i padri costituenti l’avevano fondata. Dal mancato accordo sulle quote, passando per i muri di filo spinato anti-migranti, fino ad arrivare agli sgambetti sui rifugiati: mai i Paesi dell’Unione europea si erano dimostrati tanto divisi come in questo momento. Ecco allora che a restituirle una parvenza di spirito comunitario ci ha pensato un insolito ma potente alleato: il calcio. In questi giorni il mondo del pallone si è fatto, in maniera abbastanza concreta, strumento di dialogo e di aiuto verso i migranti attraverso iniziative che hanno raccolto un consenso trasversale.
Il primo a muoversi è stato il Bayern Monaco che, sulla scia delle aperture della cancelliera Angela Merkel, ha annunciato di voler donare un milione di euro per l’emergenza migranti e di aprire un campo di allenamento per i bambini e i profughi arrivati nelle ultime settimane. Ha donato un milione di euro anche il Real Madrid, seguito a stretto giro dai portoghesi del Porto e dagli scozzesi del Celtic, che hanno deciso di devolvere l’intero incasso dell’ultima sfida di campionato a favore dei migranti. Proprio gli scozzesi, hanno dato il via a un’iniziativa che ha visto aderire tutte le maggiori squadre di calcio europee. Grazie al coordinamento dell’Eca, l’associazione dei club europei, per ogni biglietto venduto nelle partite di Champions League di questa settimana, un euro sarà donato per aiutare chi scappa dalla guerra e dalla povertà. Il progetto si chiama “90 minuti per una speranza” e ha spinto i club più importanti d’Europa a mettere per la prima volta da parte le rivalità per unirsi nel nome di una buona causa.
Anche in Italia, comunque sia, non sono mancate iniziative e campagne di solidarietà verso i migranti. La squadra più attiva in questo senso è stata senza dubbio la Roma che, attraverso l’associazione Football Cares, ha promosso una raccolta fondi in favore delle organizzazioni umanitarie che aiutano i rifugiati. Il club capitolino, inoltre, ha staccato un assegno da 575mila euro e ha messo all’asta le magliette indossate dai propri calciatori per aumentare le donazioni. Ma l’impegno sociale della società giallorossa non è finito qui. Il club di James Pallotta ha infatti annunciato un progetto per sostenere la piccola realtà della “Liberi Nantes”, la squadra romana di terza categoria composta interamente da rifugiati e richiedenti asilo politico. Nata nel 2007 con il riconoscimento dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, questa piccola società è stata la prima associazione sportiva dilettantistica in Italia a promuovere il diritto di accesso allo sport per i rifugiati e i migranti, offrendo a uomini e donne in fuga dalla guerra l’opportunità di praticare uno sport.
Il calcio per i rifugiati, insomma. E non un calcio ai rifugiati, nel senso letterale dello sgambetto, come quello rifilato dalla reporter ungherese Petra Laszlo a due profughi siriani in fuga dall’Ungheria. È presto per dire se in questi giorni si è assistito alla rinascita dei valori più sani di questo sport, come la lealtà e la solidarietà. Il confine che separa la carità sincera dal marketing resta sottile. Ma dopo essere stato travolto da scandali, doping, scommesse, razzismo e quant’altro, negli ultimi tempi il mondo del calcio aveva mostrato solo il peggio di sé. Lo scandalo della Fifa aveva svelato al mondo quanto fosse radicata la corruzione perfino ai vertici più alti delle federazioni mondiali. Adesso, finalmente, il più ricco e potente di tutti gli sport ha deciso di mettere in mostra il meglio di sé, mobilitandosi per aiutare gli ultimi, i dimenticati. Come Alan Kurdi, il piccolo migrante siriano morto su una spiaggia della Turchia, che in una delle sue ultime fotografie aveva un pallone tra i piedi e sognava di diventare un calciatore. Anche per lui, forse, il calcio ha deciso finalmente di svegliarsi.

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