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In decine di migliaia alla prova per l’accesso all’università

universitàDi Paolo Bustaffa

I media di questi giorni, anche attraverso eloquenti immagini, hanno dedicato e stanno dedicando ampi spazi ai test di accesso ai corsi universitari a numero programmato. Decine di migliaia di giovani, con i loro progetti e i loro sogni, si sono messi e si mettono alla prova per iniziare un percorso di studi sul quale intendono costruire il loro futuro.
Il dibattito sull’utilità, sull’inutilità, sui difetti e sui pregi del test di accesso è sempre aperto ma sembra mancare il pensiero delle persone coinvolte.
Eppure sono i giovani a risentire delle conseguenze di una mancata, o troppo fragile, intesa tra i mondi dell’università, del lavoro e della politica.
È il mondo degli adulti a essere in affanno rispetto alle nuove generazioni che bussano alla porta del futuro con il desiderio di una preparazione alla professione in cui credono.
Non si tratta di una folla di arrivisti, carrieristi, di cercatori di scorciatoie che si presenta alla prova ma sono i giovani di un Paese che vuole crescere in umanità. È bene quindi che questi ragazzi e queste ragazze si sottopongano a un esame che parte dalla propria coscienza prima di arrivare sui banchi di un’aula e di fronte a una commissione esaminatrice.
Non è infatti la fatica motivata che deve essere risparmiata ai giovani ma questa deve interfacciarsi con la fatica credibile degli adulti ma non con le loro sicurezze, i loro interessi acquisiti da difendere sempre e comunque. E non è la ricerca della strada verso il futuro delle nuove generazioni che deve essere messa in discussione ma la fragilità o l’inconsistenza di un orientamento agli studi e al lavoro in cui il mondo degli adulti pone spesso molti calcoli e pochi valori.
Ecco perché questi test non sono solo per i giovani, ecco perché in queste stesse prove gli adulti sono chiamati a un sussulto della coscienza di fronte al ripetersi del boom di iscritti ai corsi universitari e al calo delle prospettive di occupazione.
Ecco perché questi test diventano una domanda forte e insistente all’università e al mondo del lavoro ma forse ancor più alla società, alla cultura e alla politica.
È il sistema-Paese che viene interrogato a fondo dai giovani che sono ben consapevoli che da tempo è finito un sistema-Paese disconnesso da un sistema-Europa e da un sistema-Mondo.
In questa interconnessione è ancor più evidente che il test per l’accesso a Facoltà universitarie a numero programmato deve diventare, in un tempo di crisi e di conflitti, una risposta più convinta e condivisa alla domanda di giustizia, di pace, di solidarietà, di sviluppo economico e di crescita sociale.
Bisognerà sempre guardarsi dall’astrattezza, dall’utopia e dalla retorica ma nella stessa misura bisognerà guardarsi dal rischio di chiudere i giovani in orizzonti ristretti e senza aria. Ed è proprio a questo punto che la politica, quale soggetto di sintesi operosa, è chiamata al test di accesso ai progetti delle nuove generazioni.
Ma ancor prima sono chiamate la cultura e l’educazione senza le quali la stessa politica non può che trovarsi impreparata alla domanda di maturità che viene dai giovani e non può che trovarsi pericolosamente lontana dai loro pensieri.
In questa prospettiva la comunità cristiana, soprattutto per voce e per iniziativa dei laici, è chiamata al test, è chiamata ad assumere la responsabilità di un pensiero, di un progetto e di un percorso che aiutino, giovani e adulti, a dare il significato più alto alla meta che ogni corso di studio e ogni impegno lavorativo si prefiggono.