FilmRino Farda
Quando Papa Francesco arriverà negli Usa, gli americani avranno già visto almeno due puntate di una nuova serie tv prodotta da Amazon che si chiama “Hand of God”, letteralmente la “Mano di Dio”. La prima puntata di questa serie, che è destinata a far discutere credenti e non credenti, è andata in onda il 4 settembre e l’episodio pilota era stato diffuso su Amazon già un anno fa. Racconta la storia tragica di un giudice che si tramuta in una specie di vendicatore “extra legem” perché è convinto di interpretare la volontà di Dio. “Quando siamo andati a vendere lo show, prima che fosse preso da Amazon, eravamo consapevoli di come i programmatori delle tv fossero in ansia di avere a che fare con uno spettacolo che ha la parola ‘Dio’ nel titolo”, ha raccontato l’attore protagonista Ron Perlman (“Sons of Anarchy”, “Hellboy”). “Ma l’obiettivo che l’episodio pilota raggiunge brillantemente è dimostrare che il rapporto con la fede è personale. È come un’impronta digitale.
Non esistono due persone che lo fanno nello stesso modo”.
A detta dei giornalisti Usa che hanno visto il primo episodio, il linguaggio della serie è esplicito e non mancano le scene di violenza. Secondo la trama diffusa sui media internazionali dalla produzione, Pernell Harris è un giudice corrotto che trova la fede in seguito al tentato suicidio del figlio (dopo aver assistito allo stupro della moglie era caduto in depressione). Pernell visita il figlio in ospedale e ha alcune allucinazioni che lo conducono a un agente di polizia: crede che sia l’uomo che ha stuprato sua nuora. Nonostante le prove dell’innocenza dell’agente, Pernell è convinto di essere stato scelto da Dio per infliggere giustizia e comincia così la sua battaglia (“crociata”, nel press release originale) contro il “crimine”. Con scene molto dure e nessuno sconto sulla linea narrativa, la serie tv “Hand of God” finirà inevitabilmente per far nascere discussioni e polemiche fra gli addetti ai lavori e fra gli spettatori. Ideata e prodotta da Ben Watkins, un autore relativamente giovane, la serie è diretta da Marc Foster, un regista che debutta nella tv dopo aver diretto film come “World War Z” e “Monster Ball”. Amazon Studios, che ha prodotto la serie, spera in questo modo di potersi accreditare sempre di più nel mercato internazionale che attualmente è dominato da Netflix (“House of Cards”), Hbo (“Game of thrones”), Amc (“The Walking Dead”). Per raggiungere il risultato sono disposti a tutto, anche a mettere in discussione uno dei tabù più radicati di Hollywood: mai mettere il nome di Dio in un titolo. Aveva cominciato, quasi un secolo fa, uno che la sapeva lunga come Walt Disney.
Nei suoi cartoni e nei suoi film, ogni simbolo religioso era rigorosamente vietato. “Le questioni legate alla religione dividono il pubblico e penalizzano il botteghino”, diceva. Nel 2004, il successo internazionale del film “The passion” di Mel Gibson (un linguaggio molto crudo, ai limiti dello splatter, per raccontare la Via Crucis) aveva convinto i produttori Usa a rimettere in discussione i loro preconcetti. Hollywood, soprattutto, era rimasta impressionata dal trionfo mondiale della “Bibbia” televisiva realizzata in Italia dalla Lux Vide dei Bernabei. Convinti che si potesse “spettacolarizzare” ancora di più il racconto biblico, nel 2013 avevano prodotto “The Bible”, una miniserie televisiva per History Channel, un successo travolgente per una drammatizzazione con molti “miracoli” ed effetti speciali. “Non vogliamo dare risposte, vogliamo solo spingere alcuni pulsanti delle reazioni inconsce degli spettatori”, dicono oggi i produttori di “Hand of God”. Suona paradossale, così, che, alla vigilia della visita pastorale di Papa Francesco nel nord America, Hollywood promuova una rappresentazione della religione basata sul fanatismo e sulle idee della vendetta, della violenza e della sopraffazione. E questo proprio pochi mesi prima che inizi il Giubileo straordinario della Misericordia voluto da Papa Francesco e, proprio nello stesso periodo, in cui si registrano ogni giorno nuove efferatezze dei terroristi dell’Isis.

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