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Andrea Tarli street-artist per il Gau di Lisbona

AndreaDi Teresa Valiani

Ha preso la sua sacca nera, l’ha riempita di bozzetti e bombolette ed è partito per il Portogallo. Biglietto di sola andata.

In testa il sogno di lasciare un segno indelebile sulla Calçada da Glória, una delle vie della movida lisbonese. In tasca l’invito riservato a selezionati street artist stranieri: partecipare ai lavori del Gau, la Galleria di Arte Urbana che sta trasformando la capitale del Portogallo in una galleria a cielo aperto dell’arte di strada

Lui è Andrea Tarli, classe 1973, una laurea in geologia e poi la passione per il disegno, mai sopita, che esplode definitivamente e scrive il suo futuro. Nell’ultimo anno lo abbiamo visto autore del murales “Libera” con cui ha dato ossigeno e luce a una delle pareti più grandi del cortile interno della casa circondariale di Marino del Tronto (17 metri per 5) per il progetto “Coloriamo il carcere”, poi protagonista indiscusso dell’opera commissionata dal Comune di Ascoli e realizzata nel quartiere Piazzarola.

Lo ritroviamo oggi in riva all’oceano a testimoniare l’estro e la genialità italiana a Lisbona, capitale entrata d’ufficio nella mappa dell’arte urbana europea.

Le foto del suo nuovo murales spopolano su Facebook mentre lo stesso Gau ha pubblicato il lavoro e una sua intervista.

Ma come è iniziato tutto questo?
“Ho conosciuto il Gau  nel suo primo anno di attività durante una vacanza – racconta Andrea  – Avevano posizionato dei pannelli lateralmente alla Calçada da Glória, la salita ferrata su cui due artisti portoghesi avevano reinterpretato i sette peccati capitali. Da allora il Gau ha portato avanti moltissimi progetti in tutti i quartieri e non solo a Lisbona. Qualche mese fa ho contattato via mail Inês Machado, responsabile della Galleria, una persona molto gentile e disponibile, inviandole un progetto per la realizzazione di un murales. Il progetto è piaciuto e questa estate sono stato invitato a realizzarlo proprio su uno dei pannelli della Calçada da Glória, tra mille turisti e macchine fotografiche,  ritrovandomi per caso anche parte di un documentario sulla città nella vibrante atmosfera lisbonese. Adesso ci resto per un po’ per respirare l’aria dell’Atlantico e per lavorare ad altri progetti”.

Perché proprio Lisbona e proprio quel progetto?
“Quando ero ancora studente vidi il film Lisbon Story di Wenders e ne rimasi colpito.

Il film doveva essere uno spot pubblicitario per la città ma il regista si concentrò sulla crisi personale di un artista che si era perso e vagava per una città decadente ma piena di fascino, di musica, di poesia. Ebbi subito voglia di venire a Lisbona, ma passarono molti anni prima di poterlo fare. Era il 2010 e come tutti i turisti andai a vedere la famosa Calcada da Glòria e i suoi vecchi tram. Con mia grande sorpresa vidi ai lati i primi pannelli del Gau. Non avevo assolutamente idea di cosa fosse ma ricordo che dissi “Bravi! Sarebbe bello un giorno dipingere qui”. È strano come poi a distanza di cinque, sei anni mi sono ritrovato proprio a colorare uno di quei pannelli.
Il titolo della mia opera è “Jailbreak” e come dice la parola stessa è la fuga dalla prigione. L’idea nasce dopo l’esperienza fatta con i detenuti del carcere di Ascoli in cui ho realizzato “Libera”. La cosa difficile in carcere è mantenere la testa libera, portare il pensiero oltre le sbarre. Anche noi uomini liberi siamo tutti un po’ prigionieri di qualcosa, forse prigionieri della stessa società che crediamo di aver creato. Il libro di Kerouac è un’ icona della beat generation, un invito a mettersi sulla strada, a liberarsi dalle catene. Le pagine volano perché la fantasia è più leggera del corpo e più veloce delle lumache. C’è libertà dentro di noi, basta saperla cercare”.