GesùDIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza sulle letture di domenica 7 settembre.

Domenica scorsa abbiamo lasciato Gesù a Cafarnao, mentre discuteva con scribi e farisei venuti apposta da Gerusalemme fino a quella periferia della fede che era la Galilea, per metterlo alla prova.
Subito dopo, secondo il vangelo di Marco, Gesù partì di là per recarsi “all’estero”, cioè fuori dai confini di Israele, nella regione di Tiro; questa domenica, leggiamo che uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, tornava verso la Galilea, ma passando in mezzo al territorio della Decapoli.

Se proviamo ad aprire un atlante (meglio se un atlante biblico), scopriamo che Gesù non ha fatto una semplice “gita fuori porta”, ma, tra andata e ritorno, ha percorso circa 100 Km, rimanendo lontano da casa sicuramente molti giorni, forse anche settimane.
È un Gesù “in uscita”, come direbbe Papa Francesco, il Maestro che “anticipa” i discepoli nel portare l’annuncio del Vangelo in un territorio pagano, aggettivo con cui, spesso, qualifichiamo anche l’ambiente in cui oggi viviamo e lavoriamo, cercando con fatica di testimoniare il nostro essere discepoli di Gesù.

Diventa interessante, allora, seguire i gesti del Maestro in questo Vangelo della 23^ domenica dell’anno B. Abbiamo già sottolineato come Gesù non ha paura di andare in “terra straniera” e di mischiarsi con gente lontana da Dio.

Alcuni di essi gli portano un sordomuto e lo pregarono di imporgli le mani. «Bella occasione – diremmo noi – : possiamo fare una bella messa di guarigione, dove raccogliamo tanta gente, poi facciamo delle preghiere emozionanti, imponiamo le mani al sordomuto, e lo risaniamo, convertendo un sacco di persone! Giusto?».

Il Vangelo dice che Gesù prende (si fa carico di) quest’uomo, lo porta in disparte, lontano dalla folla, e gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; Gesù cerca il contatto diretto, personale, intimo con l’uomo ferito dal male di una vita senza Dio e i suoi gesti rivelano il desiderio di introdurlo nella comunione di amore tra Lui e il Padre, fonte di guarigione e di vita per ogni uomo; per questo alza gli occhi «verso il cielo», per unirsi alla volontà del Padre ed «emise un sospiro», prendendo su di se il dolore del malato.

Poi gli disse: «Effatà», cioè “Apriti”, o, come dice il profeta Isaia nella I^ lettura: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, egli viene a salvarvi». Non c’è bisogno di folle di testimoni, perché colui a cui la Parola ha dischiuso l’orecchio, diventa a sua volta Parola che loda e proclama al mondo la salvezza di Dio: Loda il Signore, anima mia: loderò il Signore finché ho vita … il Signore libera i prigionieri … ridona la vista ai ciechi … sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi. Il Signore regna per sempre … Alleluia! 

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