CannaDi Emanuela Vinai

Dado non ha ancora quindici anni ed è convinto di sapere tutto del mondo. Sicuramente pensa di saperne di più dei suoi genitori. Ma quando ha deciso che era abbastanza grande ed emancipato per provare l’effetto che fa fumare marijuana e si è sentito male, ha chiesto aiuto proprio a mamma e papà. Immaginate due adulti che non hanno mai fatto uso di alcun tipo di droga trovarsi a soccorrere un figlio in preda al delirio e alla paura. Cosa fare? Chiamare la guardia medica o i carabinieri? Dove reperire informazioni utili? Cosa ha preso? A chi chiedere? Da una parte c’è un ragazzino troppo pallido e divorato dalle allucinazioni e dalla nausea, dall’altra due genitori sconvolti e impreparati. Meno che quarantenni, pensavano che proporsi prima di tutto come amici per i propri figli li avrebbe messi al riparo dal dover affrontare un’emergenza di questo tipo. “Dado è spesso insolente sì, ma per certo non scapestrato. E poi gli abbiamo sempre spiegato che la droga è dannosa, gli abbiamo fatto vedere film e documentari su internet… Dove abbiamo sbagliato?”. Intanto il protagonista della serata è steso sul letto che combatte con la ribellione del suo corpo e nella prima lucidità, recuperata mentre passa la sbornia chimica, continua a chiedere alla madre ormai più arrabbiata che preoccupata: ma allora perché dicono che non fa male?
Dicono. Già, perché si ha un bello sgolarsi che la cannabis ha effetti distruttivi, che è tutto un trucco per far passare a provare cose più pesanti, che danneggia il cervello e la fertilità e mille altre cose, ma è una lotta impari in cui “gli altri” hanno argomenti più suggestivi. Il fatto che lo spinello interferisca con l’autocoscienza, la memoria e crei stati di ansia anche a distanza dall’assunzione non pare determinante. Apri internet e trovi cento siti web e migliaia di interventi sui social che inneggiano alla libera canna in libero Stato, accendi la radio e ascolti la canzoncina orecchiabile e suadente su quanto è bello e normale fumarla, solfeggi sul telecomando e vedi vecchi e nuovi tromboni con la pupilla a spillo vagheggiare di antiproibizionismo e autodeterminazione. È in atto una banalizzazione ammiccante che si fa forza con campagne stampa persuasive dove la cannabis assume a volte persino effetti miracolosi, ma il cui assioma di fondo è che, comunque, sia innocua. Non si ricordano politici, cantanti, personaggi dello spettacolo o finanche stimati professionisti invitare spensieratamente a bere alcol fino a stordirsi o a fumare “normali” sigarette, anzi! Rispetto ad altre sostanze che nuocciono alla salute, il cui uso e abuso è divenuto stigmatizzato e riprovevole, la marijuana è una moda di cui ci si vanta pubblicamente, chiamando all’emulazione.
Non ce n’è uno di questi improvvisati e irresponsabili maître à penser che pontificano sulle magnifiche sorti (nonché, immancabilmente, progressive) della legalizzazione della marijuana per tutti che si fermi a pensare che non sta parlando a 60 milioni di adulti, ma a un vasto pubblico di ragazzini pronti a tuffarsi nel Paese dei balocchi. Nello stesso confuso modo in cui non sa cosa fare del suo futuro e vuole ribellarsi a un mondo che gli pare ingestibile, Dado non riesce a riconoscere le sirene della libertà fasulla. Una felicità artefatta per ovviare a un disagio, una scappatoia evanescente che chiama a una nuova dose, a una nuova fuga. Quanti adolescenti come lui? Quanti giovani? Quanti neoadulti? Il vero spaccio surrettizio è quello di una presunta autodeterminazione e consapevolezza dei rischi con chi invece non è in grado di valutarli compiutamente.
Bastano 15 euro per comprare il necessario già confezionato per usufruire di un “uso ricreativo” della cannabis. Cosa ci sia dentro non è dato sapere, come per le pasticche che passano con noncuranza in discoteca. Ma lì ogni tanto ci scappa il morto, allora sì che si sprecano contrizione diffusa, biasimo generalizzato e distinguo scrupolosi. Per la marijuana no, quella è roba “leggera” non è vero?

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