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Due immigrati due scelte opposte

arrestoSi chiama Kamara Mamadou, ha solo 18 anni. Viene dalla Costa d’Avorio, ma la sua “casa” ora è il Cara di Mineo, in provincia di Catania. Stava cercando di passare i controlli, in una sera apparentemente come le altre, quando è stato fermato perché sospettato del duplice omicidio di Vincenzo Solano, 68 anni, e di sua moglie Mercedes Ibanez, 70 anni. La coppia di anziani viveva nella centrale via Palermo, a Palagonia: accanto al cancello è rimasta la targa in ceramica con la scritta Villa Solano, dal cognome dei proprietari. Loro, però, non ci sono più: sono stati ritrovati completamente nudi, lui massacrato e sgozzato e lei catapultata sotto il suo balcone. Nessun segno di scasso nel portone della villa, probabilmente sono state le vittime – immigrati come lui, erano rientrati in Sicilia dalla Germania dieci anni fa – ad aprire al loro assassino.
Le parole non bastano a descrivere l’orrore, di fronte a fatti come questi: ogni volta prevale lo sgomento e lo stupore per il grado di imbarbarimento, anzi di barbarie, a cui assistiamo impotenti, spesso addirittura assuefatti o anestetizzati di fronte al racconto strabordante di particolari delle cronache. E ancora una volta, scatta l’automatismo di collegare delitti efferati a nomi di immigrati, o peggio “extracomunitari”, come molti media si ostinano ancora a definirli. La caccia all’untore, dai tempi di manzoniana memoria, resta lo sport maggiormente praticato dagli italiani. È il modo più semplice per allontanare l’orco e i cattivi fantasmi dal nostro perbenistico orgoglio di benpensanti: il male, per noi, è sempre altrove, perché solo così lo si esorcizza.
Si chiamava Anatolij Korov e viveva a Castello di Cisterna, in provincia di Napoli. Aveva 38 anni ed è stato freddato a colpi di pistola sotto gli occhi della figlia più piccola di soli due anni, che lo aveva accompagnato a fare la spesa al supermercato. Poco prima della chiusura hanno fatto irruzione nel locale due malviventi, giunti a bordo di una moto. Uno dei due si è avvicinato a una cassiera, minacciandola per farsi consegnare l’incasso. Anatolij, immigrato ucraino, non ci ha pensato due volte, ha agito di istinto: per proteggere la donna, ha afferrato il rapinatore per bloccarlo. È intervenuto l’altro malvivente, che ha sparato uccidendolo davanti alla sua piccola.
Kamara e Anatolij, due uomini, due scelte all’opposto: questo siamo noi, questa è la vita. Se Kamara si fosse chiamato Giorgio, non sarebbe stato diverso. Da sempre, l’umanità può essere feroce o generosa, può conoscere abissi e vette: anche Anatolij poteva chiamarsi Giorgio. Tutto è relativo, ma di certo le coincidenze aiutano a riflettere. Quali “segni dell’umano” vogliamo scegliere? Da che parte stiamo? La gente parla spesso di crudeltà “bestiale” dell’uomo, ma un animale non potrebbe mai essere crudele in maniera così artistica e creativa, diceva Dostoevskij. A noi la responsabilità di prendere posizione, con le nostre azioni.