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Immigrazione, basta polemiche e unire le forze, la Chiesa deve parlare

ParolinDi Maria Chiara Biagioni
L’orrore che si sta consumando in Europa, dove non cessano i ritrovamenti dei corpi dei migranti alla deriva sulle coste del Mediterraneo e persino dentro un camion in Austria, è una tragedia che “ci lascia allibiti: che possa succedere questo ai nostri giorni è qualcosa di incredibile”. È il giorno del lutto oggi e il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa Sede, non ha parole sufficienti per esprimere i suoi sentimenti. Ma proprio per la gravità della situazione, il cardinale lancia un appello alla collaborazione, a non cedere alle polemiche che induriscono gli animi e non risolvono le situazioni ma ad unire le forze. “Non dobbiamo dividerci – dice Parolin -. Non dobbiamo polemizzare. Dobbiamo unirci, consapevoli dei nostri limiti e della entità del fenomeno”.
L’invito all’unità di azione è stato rivolto dal cardinale a margine della sua visita al policlinico A. Gemelli di Roma. “Il problema – osserva il segretario di Stato – è complesso e dobbiamo essere consapevoli di questo. Nessuno ha la soluzione a portata di mano. Ci sono tante cause che concorrono a questo fenomeno. Cause remote e cause prossime. E ci sono anche tante soluzioni che possono essere realizzate subito e altre che richiedono più tempo”. Il segretario di Stato ricorda in modo particolare la situazione in Siria. “Questa gente – commenta – fugge da una guerra che è una guerra crudelissima. Una guerra che dura per di più da tanti anni, senza che ci siano prospettive di soluzione. E quindi bisogna raddoppiare, moltiplicare gli sforzi. Mi dispiace che anche su questa situazione della Siria come su tante altre situazioni, c’è sempre la tendenza a dimenticare. Diventano come delle malattie croniche di cui più nessuno si occupa, a meno che non ci siano fiammate particolari. Quindi bisogna richiamare l’attenzione su questo dramma e soprattutto cercare di riattivare tutto quello che è possibile anche dal punto di vista diplomatico”. La speranza del card. Parolin è che si ripossano riprendere le trattative avviate alla conferenza internazionale di pace sulla Siria a Montreux, definita Ginevra 2. Alla domanda se sul fronte immigrazione ci sia anche un’inerzia particolare da parte dell’Unione europea, il cardinale risponde: “Vorrei uscire dalle condanne, dalle colpevolizzazioni. Il mio vorrebbe essere davvero un appello a tutti a fare i loro doveri e se qualcuno non lo fa, pensi a qual è la sua responsabilità. Uniamo le forze per cercare di rispondere a questa emergenza”. Siamo di fronte a un problema mondiale che “esige una risposta a diversi livelli con diverse responsabilità ma che deve vederci tutti coinvolti”.
Sul fronte immigrazione, la Chiesa italiana ha fatto sentire la sua voce ma è stata anche duramente accusata di ingerenza. “La Chiesa – ribadisce con forza Parolin – ha il dovere evangelico di dire una parola pur tenendo conto delle difficoltà che ci sono”. E riguardo alle accuse, aggiunge sorridendo: “Le reazioni dipendono da che cosa dice la Chiesa. A volte la Chiesa ingerisce o viene accusata di ingerenza. A volte invece viene accusata di silenzio. Ecco, anche qui bisogna essere molto realisti di fronte a queste cose. Io credo che la Chiesa deve parlare e deve parlare anche su questi temi dell’immigrazione. Soprattutto nel senso di chiedere a tutti apertura all’accoglienza, a non avere paura dell’altro e a cercare di integrare le differenze per costruire un mondo più giusto e solidale”. Insomma, anche in questo caso vale il principio secondo cui “le polemiche non servono a risolvere i problemi, anzi acuiscono ancora di più le difficoltà perché inaspriscono gli animi”. L’appello è ad unire le forze per cercare di dare una risposta comune. Quella della Chiesa, conclude Parolin,“non è una voce che grida nel deserto” ma tiene conto “delle difficoltà”. Il suo compito, che le viene dal Vangelo, è quello di “insistere sui valori che poi sono i criteri fondamentali per la soluzione di questi problemi”. Perché se “i problemi sono concreti ed esigono politiche e risposte tecniche”, l’orizzonte è quello “dell’apertura, dell’accoglienza, come continuamente ci ripete il Papa, della fraternità”.