ComunanzaDi Massimo Cerfolio

COMUNANZA – Dopo i sonnolenti e statici mesi invernali, l’evento che più movimenta la quiete montana nel periodo estivo, è il ritorno a casa, per le ferie, soprattutto nei mesi di lulio e agosto, di chi è partito a cercar fortuna e lavoro lasciando qui la famiglia di origine e un pezzo di cuore.
E allora i paesini, i borghi, le stradelle e le case si riempiono di risa, grida di bambini, rumori insoliti eppure tanto familiari. Per lo più sono i figli, i nipoti e i pronipoti degli abitanti della zona che si sono trasferiti nel Lazio e nella fascia suburbicaria di Roma a cui si aggiungono amici e turisti provenienti da varie parti sia d’Italia sia dall’estero. Così dai centri della fascia pedemontana fino alle frazioni più impervie sui monti prendono vita iniziative, cene all’aperto, spettacolini improvvisati, feste da ballo “di una volta” dove, non di raro, rispunta uno strumento caro ai nostri vecchi, l’organetto, suonato non solo dai più anziani ma anche dai giovani segno di una tradizione viva e di una passione che si tramanda di generazione in generazione. Il ritorno delle nuove generazioni, anche se a volte perturbato dallo stile di vita imparato nella vita feriale della giungla metropolitana, non sempre consono al più pacato e silenzioso stile montanaro, è sempre una gioia vissuta sia da chi arriva sia da chi accoglie. Infatti in questi giorni di riposo e di distensione si rinsaldano la familiarità e l’amicizia e, nel raccontarsi la vita, da una parte si resta ancorati alle proprie radici, alla propria terra tramandandosi tradizioni e storie che costituiscono il passato, fondamento del futuro, dall’altra in uno scambio e tra generazioni e tra differenti stili di vita, si ha una crescita e un tentativo di acquistare una più ampia apertura mentale. Ma questo periodo estivo non è solo il tempo goliardico di feste, cene e balli, gli abitanti della montagna sanno che la stagione del caldo dura poco e come sagge formiche si adoperano per immagazzinare le provviste e quanto occorre per vivere il rigido inverno dove la neve e le basse temperature obbligano a stare in casa, magari davanti al fuoco scoppiettante del caminetto, accessorio che non manca in nessuna casa montana.Così, terminati i lavori estivi dei campi, mentre gli uomini lavorano per tagliare e accatastare la legna fatta nei boschi durante il periodo di fine inverno – inizio primavera e lasciata ad essiccare fino all’estate, le donne in casa si cimentano nella preparazione di pomodori in bottiglia, ortaggi in barattolo e squisite marmellate con i prodotti che in questa stagione la terra generosamente regala e che serviranno durante l’inverno per la preparazione di sughi, contorni e dolci di sapore unico e di genuinità antica: fatte come una volta.
E quando il sole volge al tramonto e il caldo allenta la sua morsa, se non c’è qualche festa dove andare, ci si ritrova con i vicini, davanti casa a “novellar del tempo in cui…” (espressione stilistica per “quattro chiacchiere e du’ mardicenze” ), mentre magari le donne rammendano la biancheria e gli uomini giocano a carte.
Colori, sapori, odori e suoni che la città ha perso, ma che vengono custoditi gelosamente in questa terra montana scampolo di paradiso e tesoro del nostro futuro.

(Da una riflessione/chiacchierata con Don David Esposito parroco di S.Giovanni D’Illice/Croce di Casale Diocesi di Fermo ma appartenente al Comune di Comunanza.)

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