personeDIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza sulle letture di domenica 26 luglio.

Una delle sorelle di Santa Chiara, suor Cecilia da Spello, rendendo la sua testimonianza al processo di canonizzazione della santa assisiate, racconta che un giorno, a san Damiano, c’era una sola pagnotta di pane, frutto della elemosina raccolta dai frati questuanti, e che avrebbe dovuto servire a sfamare ben cinquanta sorelle. Di fronte al suo sgomento Chiara non esitò, ma le comandò di dividere il pane a metà, di mandarne una parte ai frati, e di tagliare l’altra parte in cinquanta fette. Sr. Cecilia rispose alla Madre Chiara: “per fare di questo poco pane cinquanta fette, ci vorrebbe quel miracolo del Signore dei cinque pani e due pesci”; tuttavia obbedì e, mentre tagliava, il pane “cresceva” sotto le sue mani e ne uscirono cinquanta fette “buone e grandi”. Questo episodio, vissuto da S. Chiara e dalle sue sorelle agli albori del XIII secolo dell’era cristiana, è una bella meditazione della Parola di cui la Chiesa ci fa dono in questa 17^  domenica del T. O., in cui proprio noi, cristiani del XXI secolo di un’era che facciamo sempre più fatica a chiamare cristiana, ascolteremo dal Vangelo di Giovanni (6,1-15) quello che siamo abituati a chiamare il “miracolo della moltiplicazione dei pani”.

Chiara ci aiuta, infatti, a mettere in evidenza alcuni punti sui quali fermare la nostra riflessione. Il primo: il pane è un dono; infatti nel Vangelo i cinque pani e i due pesci non appartengono a Gesù né ai discepoli, ma sono messi a disposizione da un ragazzo, come pure nella prima lettura (2Re, 4,42-44) i venti pani d’orzo sono donati al profeta Eliseo da “un uomo” di Baal-Salisà, che può essere tradotto anche come “il padrone divide per tre”.

Il secondo: è un pane “povero”, il pane d’orzo che mangiavano i poveri, meno nutriente del pane di grano; ma è anche una “primizia”, perché l’orzo matura prima, ed è significativo ricordare che per l’israelita credente, le primizie appartengono al Signore e devono essere condivise con i suoi “protetti”, il forestiero l’orfano e la vedova. Il terzo: Gesù (come pure Eliseo) non compie nessun miracolo della moltiplicazione dei pani, perché non “materializza” altri pani, così come all’inizio, quando fu tentato dal demonio, non trasformò le pietre in pane; Gesù, invece, “dopo aver reso grazie” prese i pani e li distribuì ai presenti, quanto ne volevano: qual è, dunque, il vero miracolo?
Se consideriamo il pane come un nostro diritto/possesso e, come tale, lo mangiamo da soli… ahi voglia a invocare i miracoli di Cristo per coloro che non ce l’hanno! Ma se anche noi, come Gesù, sappiamo rendere grazie per il pane (come per ogni bene), nella consapevolezza che è un dono di Dio e, come tale, deve essere condiviso, solo allora il pane non finirà mai, anzi, dopo che tutti saranno saziati, ne avanzerà, perché è con le nostre mani che compie miracoli quel Dio che è “Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,6).

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