CubaDi Damiano Beltrami

La bandiera americana issata all’Avana, quella cubana a Washington. Con questo doppio gesto Stati Uniti e Cuba si sono avvicinati ulteriormente. Distanti solo 145 chilometri in linea d’aria, negli ultimi cinquant’anni i due Paesi hanno rappresentato universi agli antipodi. Il 20 luglio, per la prima volta dal 1961, le due nazioni hanno formalmente ristabilito relazioni diplomatiche. Una svolta impensabile solo pochi mesi fa, sostenuta dai vescovi cattolici di entrambi i Paesi e messa in moto anche grazie al contributo di Papa Francesco. Sia pure molto resti ancora da fare – l’embargo economico resta in vigore e il Congresso americano non sembra per il momento intenzionato ad abrogarlo – adesso i cubani, e con essi i cattolici dell’isola, intravedono un nuovo inizio.
Giornata storica. “Oggi cadono le barriere”, ha detto il segretario di Stato Usa John Kerry in una conferenza stampa congiunta a Washington con Bruno Rodriguez, il primo ministro degli Esteri cubano in visita ufficiale negli Stati Uniti dal 1959. “Entrambi i Paesi trarranno maggior beneficio dal collaborare piuttosto che dall’osteggiarsi”, ha aggiunto Kerry, a pochi passi dall’appena riaperta ambasciata cubana, un edificio di sei piani a soli tre chilometri dalla Casa Bianca.
Cattolici cubani. Monsignor Oscar Cantú, vescovo di Las Cruces in New Mexico e presidente del Comitato Giustizia e pace della Conferenza episcopale americana, ha plaudito alla riapertura dell’ambasciata, definendola uno sviluppo positivo dei negoziati: “La riconciliazione tra gli Stati Uniti e Cuba è il modo migliore per incoraggiare la libertà religiosa e i diritti umani nell’isola”. Secondo la Commission on International Religious Freedom, un’agenzia Usa bipartisan che cerca di stabilire i livelli di tolleranza religiosa nei vari Paesi, l’Avana non favorisce la libertà religiosa. Richiede per esempio a tutte le chiese di registrarsi ufficialmente presso il ministero di Giustizia e controlla con puntiglio l’arrivo e la partenza degli “ospiti religiosi”. Agli attivisti per i diritti umani, poi, è totalmente proibito partecipare attivamente alla vita religiosa. Cantú auspica che si cambi rotta alla luce degli storici sviluppi positivi nelle relazioni.
Un lungo percorso. “Questo risultato rappresenta una vittoria che viene da lontano”, ha notato John L. Allen Jr., editorialista della rivista cattolica Crux, parlando delle migliorate relazioni tra Usa e Cuba. “Per afferrarla bisogna tornare indietro nel tempo alla memorabile visita a Cuba di Giovanni Paolo II. Cuba è un Paese al 60% cattolico e i cattolici cubani hanno sofferto molte ingiustizie; si pensi che nei primi anni del regime almeno 3.500 cattolici sono stati incarcerati, uccisi o costretti all’esilio. Per molti decenni l’insegnamento della religione a scuola era vietato. Senza parlare, poi, degli espropri alla Chiesa”.
Dialogo, amicizia e approccio graduale. Per Allen malgrado questi atteggiamenti negativi del regime verso i cattolici, Giovanni Paolo II scelse la via “del dialogo e dell’amicizia, chiedendo maggiore libertà d’espressione e di associazione ma trattando Fidel Castro come un Capo di Stato e non un pariah”. In cambio Castro lasciò a casa l’uniforme militare e si presentò in giacca e cravatta. Poco tempo dopo la visita di Giovanni Paolo, il Natale a Cuba tornò a essere una festa nazionale. Per Allen è stato questo approccio graduale eppure determinato e lungimirante a permettere al Vaticano di influire in modo così positivo nei mesi delle negoziazioni.
Viaggio atteso nel segno della riconciliazione. Mons. Cantú sostiene le misure adottate finora per migliorare le relazioni tra le due nazioni e ha esortato al contempo il Congresso statunitense a togliere l’embargo, che per ora invece, e nonostante le pressioni della Casa Bianca, rimane. “Certamente la storica visita di papa Francesco sia a Cuba che negli Stati Uniti a settembre ispirerà ulteriormente la riconciliazione e il dialogo”, afferma mons. Cantú.

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