IsraeleUn clamoroso ribaltone. Si potrebbe definire così la decisione, assunta il 7 luglio, dall’Alta Corte israeliana di dare il via libera ai lavori di costruzione del muro di separazione israeliano nella valle di Cremisan, un’area verde ricca di uliveti, frutteti e vigneti, principale fonte di sostentamento per la popolazione palestinese del villaggio cristiano di Beit Jala nei pressi di Betlemme.
In questa stessa zona si trovano anche due conventi abitati rispettivamente da una comunità di sacerdoti salesiani e da una della Figlie di Maria Ausiliatrice che gestiscono la scuola annessa.
Circa tre mesi fa la stessa Corte, supremo organo giudiziario dello Stato di Israele, aveva emesso una sentenza in cui stabiliva che il muro non poteva essere edificato a Cremisan e intimava alle autorità militari israeliane di considerare altre alternative meno dannose per la popolazione locale di Beit Jala e per i monasteri che si trovano nella valle. Un iter giudiziario durato circa otto anni e che alla fine ha premiato le ragioni dei palestinesi e delle loro terre agricole. Contro questo muro si erano espresse molte diplomazie internazionali, i vescovi europei e nordamericani, e la decisione di aprile della Corte era stata letta come “un’ulteriore riprova della forza della democrazia israeliana”. Almeno fino a ieri, quando l’Alta Corte ha deciso di fare dietro front consentendo di fatto la ripresa dei lavori del muro con una lieve, ma significativa variante.
Il nuovo tracciato non taglierà più le terre su cui si trovano la scuola e i due conventi salesiani, queste infatti resteranno in territorio palestinese raggiungibili dal villaggio di Beit Jala, ma direttamente su quelle di 58 famiglie palestinesi che rischiano adesso di vedere confiscate le loro proprietà. Nell’attesa di conoscere meglio le ragioni di questo dietrofront qualche domanda sorge spontanea… Viene da chiedersi, per esempio, come ha fatto il vescovo William Shomali, Vicario Patriarcale del Patriarcato latino di Gerusalemme, se questa decisione non sia una reazione al recente riconoscimento ufficiale dello Stato di Palestina da parte della Santa Sede, e se Israele non abbia mai del tutto rinunciato alle terre di Cremisan per allargare gli insediamenti israeliani di Gilo e Har Gilo, costruiti anche essi su terre sottratte ai palestinesi di Beit Jala. Non vorremmo che nelle pieghe di una sentenza si nascondesse non la forza, ma la debolezza della democrazia israeliana.

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