DinoDi Floriana Palestini e Simone Incicco

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Questa settimana abbiamo avuto il piacere di intervistare Dino Cappelletti, rinomato fotografo professionista di Grottammare.

Come è nata la tua passione per la fotografia?
È nata da ragazzino, da piccolo infatti amavo la pittura. All’età di 16 anni però ho avuto l’occasione di possedere un macchina fotografica, una Minolta XG-1, una macchinetta che 35 anni fa era un discreto strumento, comprata a Berlino. Fu quella che mi cambiò la vita.

Quali furono i tuoi primi soggetti?
All’inizio fotografavo molta natura, essendo nato in campagna, una particolarità che mi porto dietro ancora oggi. Ritraggo molti soggetti naturali come ragni e fiori.

Come è nato invece lo studio fotografico?
Da questa prima fase di osservazione è nata una fase di sperimentazione, di tentativi di ricerca e  conoscenza insieme ad altri amici. Il periodo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ‘80 coincide col periodo dei fotoamatori, una categoria di appassionati che ora non esiste più: ai tempi c’erano i Foto Club, i gruppi di studio. Frequentando questi club, pian piano oltre a una passione la fotografia diventò qualcosa di più completo. Ho seguito quindi corsi specialistici e ho potuto girare per l’Europa e per il mondo per approfondire le mie conoscenze. L’occasione dello studio arrivò a Grottammare: un giorno passai in via Leopardi e sulla porta di uno studio fotografico c’era scritto “vendesi”. Quel cartello mi illuminò e senza avere tanta preparazione né esperienza, in quel momento decisi di diventare un professionista. Avevo solo 22 anni!

Che studi avevi fatto?
Ho frequentato l’istituto alberghiero, con specializzazione di direttore d’albergo. Questo tipo di scelta si è rivelato  utile nella mia professione attuale, poiché mi ha dato le basi per parlare 3 lingue. Mi è capitato infatti di dover lavorare ad un matrimonio di tedeschi e l’unico che sapeva parlare la loro lingua ero io.

Come è cambiato il mondo della fotografia in questi anni?
C’è stato un cambiamento epocale. Ho aperto lo studio nel 1984 e io e mia moglie Laura eravamo testimoni del passaggio tra i grandi fotografi come Sgattoni, Baffoni, che venivano da una formazione molto classica, sia nelle pose che nelle scelte, nel campo della ritrattistica e della cerimonia. Noi abbiamo portato una ventata di novità a livello di rapporto con la clientela e di tipologia di immagini. Però si è continuato ad aver la pellicola, la diapositiva, ma c’era molta sperimentazione. I filtri di Instagram, oggi alla portata di tutti, noi li dovevamo sperimentare in camera oscura. Ad oggi c’è stato un cambiamento completo: è cambiato il supporto, è cambiato il ruolo del fotografo, prima più libero di girare, ora costretto a stare ore davanti al computer per la post produzione. Ora il fotografo deve essere sia bravo con la macchina che al computer.

Oggi inoltre le aziende produttrici hanno rese accessibili sul mercato macchinette di discreta qualità, perciò chiunque sia un minimo appassionato può avvicinarsi alla fotografia.
Ho notato infatti una diffusione ossessionante avvenuta anche attraverso la telefonia, che permette attraverso uno strumento semplice di scattare immagini di qualità. Purtroppo oggi se ne fanno troppe.
Prima il fotografo partiva, andava sulla collina col suo rullino e scattava la foto al tramonto, e un po’ per i costi un po’ per il concetto di fotografia ricercata, si facevano poche foto. Oggi, secondo me, si scatta troppo e male e la curiosità della gente si ferma alla visione semplice dell’immagine: si scatta, la foto si vede sul display e sia se piace o se non piace, è già dimenticata. Non si ha più il piacere di stampare la foto, guardare come ingiallisce e tra 20 anni ricordarsi di quel momento. Oggi si scattano 1000 foto e se ne stampano 10. A volte qualche signora anziana si presenta allo studio con delle vecchie foto da riprodurre, perché ingiallite o strappate: c’è un’emozione grandissima nel rivedere queste foto, perché loro per un evento importante come un matrimonio avevano chi 3 e chi 20 o 30 foto, per i più ricchi, e venivano custodite gelosamente. Ai matrimoni nel 2015, tra fotografi professionisti e fotografi improvvisati, si scattano migliaia di foto e nel complesso non c’è più il piacere di avere una selezione di immagini messe da parte per farle rimanere nel tempo.

Qual è la foto più bella che hai scattato?
Fortunatamente ce ne sono molte belle: oltre alla professione di fotografo, per cui si ha un committente e dei vincoli creativi, sia io che mia moglie abbiamo tanti interessi di ricerca. La ricerca è fondamentale nella fotografia professionale perché attraverso di essa si traggono degli spunti per la fotografia applicata ai clienti. Io ho una foto scattata a Carassai a Due Querce, in u n momento in cui tutto era perfetto. L’ho presentata anche a un concorso, ma a prescindere dal premio mi dà tanta soddisfazione, perché sembra finta ma non c’è nessun artificio, anzi la foto è stata scattata con le vecchie pellicole.

Il lavoro del fotografo implica lo stare a stretto contatto con il cliente e a stabilire con questo un rapporto particolare, di fiducia reciproca. Ci sono state situazioni che ricordi con piacere o richieste particolari che hai ricevuto?
Potremmo scrivere un libro con tutti i racconti fantastici relativi al mio lavoro, perché specie nel campo dei matrimoni accade di tutto. Le cose più piacevoli sono momenti vissuti insieme alle coppie nel giorno del matrimonio, perché per quanto tu possa programmare la giornata, alla fine accade sempre qualcosa che fa perdere il filo della giornata e tutto diventa molto spontaneo. Il fotografo entra in empatia con la coppia, e capita di assistere alle scene più disparate, dal bambino che fa cadere la fede nel tombino, allo sposo in mega ritardo, a situazioni di profondo imbarazzo che è meglio non ricordare. Nel complesso, conservo bei ricordi di tutti i lavori che ho curato. Capita anche che il fotografo si trovi a ricucire l’abito della sposa perché le si è strappato o di prestare la cintura allo sposo che non l’aveva.

Quali sono i progetti che avete in cantiere?
Sia io che Laura quest’estate organizziamo delle mostre fotografiche al Paese Alto di Grottammare.
Laura inaugura il 10 luglio con un reportage nell’isola di Zanzibar e io il 17 luglio con una mostra fotografica su Grottammare.
Le mie sono poche immagini ma vorrei dare un tributo alla mia città nativa attraverso foto “non convenzionali”, un po’ meno da cartolina.
Per il futuro più lontano, vorremmo riprendere con corsi di formazione per aspiranti fotografi e amatori della fotografia, dato che con questi abbiamo iniziato a costruire la nostra vita da fotografi. Adesso ci siamo fermati perché abbiamo troppi impegni, ma c’è l’idea di continuare a parlare di fotografia pura, soprattutto ai giovani. C’era inoltre una previsione, e probabilmente si realizzerà, di creare un Foto Club a Grottammare, che attualmente non c’è.
Abbiamo raggruppato 7-8 persone, ne dovremmo trovare altrettante per fare la prima formazione del Club. Su questo vi aggiorneremo presto.

Laura

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