bambiniDi Patrizia Caiffa

Nelle terre del televisivo commissario Montalbano, in provincia di Ragusa, una pubblicità di pomodori sulla provinciale da Scoglitti ad Acate declama uno slogan – “Sono belli, sani e siciliani” – che in realtà nasconde tutt’altro. Su questa strada i camion trasportano infatti pomodori, melanzane, peperoni e zucchine frutto del “lavoro schiavo” di 20 mila romeni e tunisini, tra cui centinaia di donne e bambini. Da lì vanno al grande mercato ortofrutticolo Vittoria, che poi li smisterà in tutta Italia, visto che la metà della produzione italiana di ortaggi proviene proprio da qui. Tutto intorno, 70 km di serre di proprietà di migliaia di piccoli imprenditori agricoli lungo la costa da Pozzallo a Marina di Acate e verso l’interno della provincia di Ragusa: una distesa grigia interminabile, una terra di nessuno isolata da tutto e popolata da ombre invisibili che vivono e lavorano come braccianti agricoli in condizioni di degrado, irregolarità, sfruttamento. Sono impiegati dieci mesi l’anno, dieci ore a 25 euro al giorno, piantano, curano e raccolgono ortaggi nel caldo delle serre, con temperature che raggiungono i 40-50 gradi. Perfino la nebbiolina, i piccoli fiori che adornano i bouquet delle spose, è coltivata qui. È una delle tante situazioni di sfruttamento nell’agricoltura dei migranti economici nell’area del Mediterraneo documentata nel Rapporto “Presidio 2015”, che sarà presentato il 2 luglio all’Expo di Milano, frutto dell’impegno di Caritas italiana, che promuove da un anno, in dieci diocesi italiane, il progetto “Presidio”, 10 milioni di euro dall’otto per mille ripartiti in due anni. La Caritas diocesana di Ragusa sta utilizzando il suo milione di euro incontrando e aiutando gli immigrati con tre operatori e decine di volontari, un camper, un presidio fisso ad Acate che riceve ogni settimana una cinquantina di lavoratori e distribuisce vestiti, coperte, medicine e dà assistenza ai vari bisogni.

Lavoro nero e grigio. “Lo sfruttamento è provocato da un indotto agricolo e commerciale che paga i produttori solo 30 centesimi ogni chilo di ortaggi – spiega Vincenzo La Monica, coordinatore del progetto Presidio -. Anche loro in un certo senso sono schiavi della grande distribuzione”. Succede così che su 20mila lavoratori stranieri solo 11mila siano iscritti alle liste dell’Inps. Il resto è tutto lavoro nero o “grigio”, come viene chiamato l’espediente, da tempo in voga nelle zone più depresse, di lavorare almeno 102 giorni l’anno per poter usufruire dell’indennità di disoccupazione. In realtà è una truffa ai danni dell’Inps e del lavoratore: spesso i datori di lavoro, che qui chiamano significativamente “padroni”, chiedono ai neo-assunti di dare loro 3mila euro in anticipo perché ne riceveranno poi 6mila con l’indennità di disoccupazione. Oppure pagano 1.500 euro al datore di lavoro per un permesso di soggiorno, anche se non lavorano. Da poco l’Inps e le forze dell’ordine hanno iniziato a fare controlli. Sono gli stessi “padroni” a mettere a disposizione le case fatiscenti, detraendo però dallo stipendio le spese per l’affitto (180/200 euro) e il poco cibo. Nei paesi vicini, a Vittoria e Comiso, ci sono molti italiani furbi che se ne approfittano e vendono per 300 euro a persona una residenza fittizia necessaria per la regolarizzazione. C’è perfino chi ha acquistato case come investimento redditizio. C’è poi tutto il capitolo dello sfruttamento sessuale delle donne romene: in un contesto generale di marginalità e degrado culturale, è più facile il ricatto e la richiesta di favori, anche solo per un passaggio gratis.

Nella terra dei fantasmi. Percorrere con la macchina dei volontari le “trazzere”, polverose stradine di campagna sconnesse e senza nomi, è come perdersi in un labirinto di un mondo che non esiste. La notte non c’è la luce dei lampioni e inquieta l’idea di un far west dove l’illegalità può permettere qualsiasi abuso. Di recente è stato ucciso un romeno da alcuni tunisini, prima gli hanno violentato la donna davanti agli occhi. Ai lati, chilometri di serre trasparenti che sembrano abitazioni di fantasmi, all’interno altissime piante di pomodori o melanzane che fruttano tre volte più di una resa normale, perché il microclima permette di produrre tutto l’anno e in tempi più veloci, con l’uso di fitofarmaci. Sono questi veleni, insieme alle plastiche e agli scarti della produzione, che rendono l’ambiente altamente insalubre. Ai lati delle “trazzere” vi sono puzzolenti discariche a cielo aperto. Periodicamente bruciate, producono alti fumi neri di veleni – le cosiddette “fumarole” – che danneggiano la salute. Molti soffrono infatti di asma e malattie respiratorie. Tra una serra e l’altra spuntano fili di panni stesi e qualche parabola, da lì si capisce che in quei casolari abbandonati vivono i lavoratori, spesso intere famiglie con bambini dagli sguardi spenti. Quella è la loro unica terra dei giochi, non possono nemmeno andare a scuola. “Sono lontani da tutto, non hanno servizi a disposizione – raccontano Emiliano Amico e Angelo Milazzo, operatori Caritas -. Per andare dal medico o a fare la spesa devono pagare 20 euro a passaggio su pulmini privati, le donne non possono accompagnare i figli a scuola”. A giorni partirà un Grest gestito insieme alla parrocchia di San Nicolò di Bari ad Acate. Per i trasporti gratuiti c’è il “Solidal transfer” della Cooperativa Proxima. “Accoglieremo una cinquantina di bambini italiani e stranieri – conferma il parroco, padre Giuseppe Raimondi – per cercare di creare integrazione. Come parrocchia cerchiamo di lanciare dei messaggi, ma non sappiamo quanto saranno applicati”.

I progetti di Caritas Ragusa. Punta molto sui progetti d’integrazione e sul coinvolgimento dei parroci Domenico Leggio, direttore di Caritas Ragusa: “Molti datori di lavoro frequentano le nostre chiese e fanno beneficenza. Con l’enciclica Laudato si’ il Papa ci ha chiesto di denunciare le situazioni di degrado e sfruttamento, è nostro compito”. Il 10 luglio prenderà il via il progetto “Costruiamo saperi”, finanziato con 300mila euro dalla Fondazione “Con il Sud”. In una bellissima e antica casa padronale in località Magnì, con 10 ettari di terreno messi a disposizione dal vescovo, saranno insegnati mestieri agricoli e edilizi a 50 lavoratori immigrati ed italiani e avviate colture di nicchia (zafferano, quinoa ecc.), creando allo stesso tempo occupazione per i siciliani. “Con questi prodotti vogliamo costruire una filiera etica, per convincere i datori di lavoro che investire su un marchio etico, mettendo in regola i lavoratori, può essere conveniente”. Pionieri su terre di frontiera che lottano per il cambiamento culturale e il rispetto dei diritti.

Entra a far parte della Community de L'Ancora (clicca qui) attraverso la quale potrai ricevere le notizie più importanti ed essere aggiornati, in tempo reale, sui prossimi appuntamenti che ti aspettano in Diocesi.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *