TVPubblichiamo la lettera di un nostro lettore, Gianmarco Capecci, che vuole condividere una riflessione che ritiene importante.
La riportiamo di seguito.

“Un mercoledì mattina qualunque, durante la pubblicità fra l’ennesima replica di Don Matteo – che Rai 1 trasmette d’estate al posto del tradizionale programma di cucina – e l’inizio del telegiornale, passa lo spot della nuova trasmissione del pomeriggio: L’estate in diretta. E così, tra un boccone e l’altro, visto che siamo all’ora di pranzo, ascolto la voce squillante della conduttrice che annuncia trionfalmente gli argomenti che saranno oggetto della puntata di oggi: l’interrogatorio dal carcere di Veronica Panarello, accusata dell’omicidio del figlio di 8 anni; e l’assassinio dell’orafo di Cuneo, ucciso in casa propria da un rapinatore.

Riconosco che ho un brutto vizio: troppo spesso mi fermo un attimo a pensare sulle cose, senza lasciarmele scorrere addosso come si dovrebbe fare in questo nostro frettoloso e disattento mondo di oggi. Così nemmeno stavolta mi limito a sentire, ma pretendo di ascoltare. E di pensare. L’enfasi con cui queste due tragiche vicende vengono annunciate, lo ammetto, mi turba. Esse diventano la merce esposta in vetrina per attirare l’attenzione del pubblico. Del pubblico di una trasmissione di intrattenimento per tutta la famiglia. Vedo che la sofferenza dell’uomo diventa spettacolo, diventa il piatto forte da servire per emozionare un telespettatore distratto e annoiato.

Tutto questo mi sembra sbagliato, diseducativo. Ma da credente io penso che tutto ciò sia probabilmente anche malvagio. Il vocabolario Treccani definisce così l’aggettivo malvagio: «Di persona che opera il male compiacendosene». Indubbiamente una trasmissione che, pur non essendone l’autrice, usa un male probabilmente per alzare l’audience si compiace di questo male.
Io non sono un docente di teologia morale, ma credo di poter affermare con una certa fondatezza che divulgare la malvagità per fini commerciali sia un serio atto di peccato. E la cosa più grave è che non se ne accorge nessuno. Il telespettatore medio troppo spesso azzera la propria capacità critica e diventa cera molle che i mass media plasmano a piacimento. Il telespettatore medio deve emozionarsi con la morte, con la paura che la tragedia possa capitare anche a lui; soltanto così, spaventato e inquieto, esso affogherà la propria ansia nel consumo compulsivo dei prodotti pubblicizzati all’interno delle trasmissioni televisive.

Ancora una volta aveva ragione quel grande profeta della post-modernità che era Giovanni Paolo II quando gridava «non abbiate paura»”.

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