GalantinoUn invito “ad avere occhi, cuore e mani sinergicamente uniti: occhi per vedere, cuore per compatire e mani capaci di concretezza, mettendovi in ascolto gli uni degli altri per un discernimento comunitario capace di offrire alla pastorale della salute nelle vostre diocesi piste concrete di lavoro”. È quello che ha rivolto lunedì sera monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, ai partecipanti al XVII convegno nazionale dei direttori, operatori e associazioni di pastorale della salute, in corso ad Assisi. Ripercorrendo i cinque verbi della Traccia del Convegno ecclesiale di Firenze, in chiave di pastorale della salute, il presule, rispetto al primo verbo “uscire”, ha detto: “Gli uffici diocesani di pastorale della salute come le istituzioni sanitarie di ispirazione cristiana e le associazioni nel mondo della salute sono chiamati anzitutto all’ascolto dei bisogni che sono presenti sul territorio”. Da questa “conoscenza attenta del territorio” emergeranno anche “le urgenze che vi devono vedere impegnati”. Riguardo all’annunciare, monsignor Galantino ha invitato, “come attenzione primaria, alla vicinanza relazionale con le persone sofferenti. Il rischio che potremmo correre è quello di parlare dei malati e stare poco con loro, di annunciare l’amore di Cristo che condivide le sofferenze”.

C’è poi il terzo verbo “abitare”: “Nessuna parola può essere credibile se non sappiamo abitare i luoghi della sofferenza con carità e competenza”, ha osservato il segretario generale della Cei. Riguardo alla presenza dei cappellani, “occorre qualificare il nostro servizio con una formazione adeguata di quanti oggi sono chiamati a stare in luoghi-frontiera e affrontare sfide e opportunità di peso notevole. Nelle stanze degli ospedali oggi arrivano persone con biografie plurali, di contesti culturali diversi, con diverse appartenenze religiose”. I cappellani devono interagire “con operatori sanitari che richiedono, giustamente, anche competenze adeguate in materie specifiche quali quelle etiche e bioetiche”. Così pure occorre “capacità di relazione interpersonale per incontrare persone già ferite nella loro storia. Una cura pastorale del mondo della salute esclusivamente incentrata sulla sacramentalizzazione è fuori contesto”. Il presule ha anche invitato “ad abitare i luoghi della cultura e della politica, secondo le responsabilità proprie di ciascuno”.

C’è poi l’educare: “Si colloca a questo livello la questione antropologica per eccellenza, che coinvolge la stessa nozione di vita umana, l’apprezzamento e la valorizzazione della differenza sessuale, la configurazione della famiglia e il senso del generare, il rapporto tra le generazioni, la risorsa costituita dalla scuola, la sfida costituita dall’ambiente della comunicazione digitale, la costruzione della comunità all’insegna del diritto e della legalità”. E “anche questa via vi tocca da vicino, non solo nella promozione di una cultura della vita e della solidarietà, ma anche per la intrinseca dimensione educativa che porta con sé la fragilità umana da diventare una scuola da cui imparare”. Infine, la quinta via è il trasfigurare: “Occorre trasfigurare, in modo particolare, la sofferenza umana, perché essa diventi partecipazione al disegno di redenzione di Cristo sul mondo. Il compito più difficile ma anche più importante è proprio questo: aiutare le persone sofferenti, con percorsi adeguati, delicati, attenti, prudenti, a riconoscere la dimensione salvifica della sofferenza vissuta con amore, in unione a quella di Cristo”. Se è vero, poi, che la pastorale non è solo “sacramentale”, ha concluso monsignor Galantino, “è anche vero che lo scopo di ogni opera evangelizzatrice è l’incontro dell’uomo con Cristo, l’amore che salva”.

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