GiovanniDi Luigi Crimella

Dopo le elezioni regionali, con il notevole sommovimento politico prodotto, da più parti ci si interroga su cosa potrà succedere con l’ “Italicum”. Per cogliere gli aspetti istituzionali di come un sistema elettorale possa influenzare l’atteggiamento degli elettori, abbiamo intervistato il professor Giovanni Guzzetta, docente di diritto costituzionale all’Università di Roma Tor Vergata.

Alle elezioni regionali di pochi giorni fa ha dominato l’astensionismo. Cosa significa in termini istituzionali?

“Quando si registrano fenomeni così rilevanti, realisticamente bisogna considerare un concorso di cause. Per le recenti elezioni regionali in cui l’astensione ha raggiunto un picco, forse l’elettorato ha ritenuto che non ci fosse in palio qualcosa di veramente rilevante. La percezione sulla Regione è di un ente abbastanza screditato, che drena risorse, anche ‘lontano’ dai cittadini. Non come i sindaci che invece sono sentiti come ‘vicini’. In più non c’è in gioco il governo nazionale”.

L’elettorato a suo avviso ha quindi elaborato una diversa visione della politica?
“Fino a venti-trenta anni fa la politica era concepita e vissuta come un’esperienza totalizzante, oggi invece, allineandoci alle grandi democrazie occidentali, si ha un rapporto più pragmatico: cioè si vive la politica come qualcosa che possa essere utile”.

Questa tendenza si lega forse anche al progressivo spostamento dal sistema proporzionale verso quello maggioritario?

“Non credo sia questione del sistema elettorale, che del resto per le regionali è variamente connotato con una certa prevalenza del proporzionale. Direi invece che la politica si è ‘laicizzata’, che è meno ideologica che nel passato e il suo scarso rendimento, con una crisi economica che non finisce e la sensazione che chiunque ci sia al governo in realtà non riesca a fare granché, abbia diffuso la convinzione che il sistema politico nel suo insieme non sia particolarmente rimarchevole. E quindi che si possa non votare, tanto non cambia granché”.

Cosa dobbiamo aspettarci con l’introduzione dell’ “Italicum”?

“Il nostro Paese aspira a fare riforme istituzionali da 50 anni. Di fronte a questa terribile inconcludenza, il fatto che ci sia finalmente una riforma che sta per andare in porto suscita un oggettivo interesse. Personalmente ritengo che il nuovo Senato poteva essere costruito con un collegamento più diretto coi cittadini. Basterebbe fare in modo che divengano senatori i consiglieri regionali più votati. A parte qualche ‘clausola-trappola’ che dovrebbe essere meglio approfondita, mi pare comunque che lo sforzo ci sia stato. Quindi è bene dare corso quanto prima alla riforma”.

Non ritiene eccessivo il premio di maggioranza previsto col 54% dei posti al partito vincitore del ballottaggio?

“Personalmente io sarei per un sistema all’inglese (maggioritario con collegi uninominali, ndr) che è tutt’altra cosa dal nostro. La questione fondamentale è se si vuole che i cittadini possano, col loro voto, determinare una maggioranza stabile. Qualcosa del nostro ‘Italicum’ potrebbe essere cambiata, ad esempio secondo alcuni sarebbe preferibile la coalizione piuttosto che una lista unica. Però il principio di fondo è che la ‘più grande minoranza’ del Paese per quella legislatura ottiene il potere di governare. Questa è la logica dei sistemi maggioritari, giustificata dall’esigenza di assicurare la governabilità”.

Tra il 50% di astenuti, in un paese “cattolico” come il nostro, è pensabile che ci sia un’alta percentuale di cattolici astensionisti. Che significa questo?

“Qualunque sistema politico è compatibile con un’eventuale rappresentanza ispirata a valori religiosi. Non vedo pertanto un problema istituzionale. Piuttosto ritengo che ci sia un certo indebolimento della riflessione culturale dei cattolici sulla politica”.

È una situazione rimediabile, o è la fine del cattolicesimo sociale?
“La tendenza odierna è alla competizione tra e per le istituzioni. Negli Usa e in Francia si compete per la presidenza. Dentro questa competizione tutte le culture politiche hanno un ruolo, ma oggi ci vuole inventiva e creatività sociale per sfondare”.

Ma, alla fine, questa astensione cosa vuole dire secondo lei?
“Io la interpreto come il disperato tentativo di comunicare al sistema politico la delusione, il disgusto o semplicemente il disinteresse. La gente pensa che la politica non possa fare molto per loro. Mi rendo conto che è un discorso pessimistico. Ma non riesco a individuare altri argomenti, se non questa disaffezione”.

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