DIOCESI – Giovedì 4 giugno a San Benedetto del Tronto si è tenuta la solenne celebrazione del Corpus Domini, presieduta dal Vescovo Carlo Bresciani e concelebrata con tutti i parroci della città.

Vescovo Carlo Bresciani: “La solennità che stiamo celebrando, come sappiamo, mette al centro della nostra adorazione e della nostra preghiera il Corpo del Signore, l’Eucaristia, presenza viva e reale del crocifisso risorto che si fa pane della vita per la sua Chiesa. È attorno all’Eucaristia che nasce e cresce la Chiesa. È del suo nutrimento che essa vive.

Ci fa molto piacere vedervi qui, cari bambini che avete ricevuto l’Eucarestia per la prima volta. La vostra partecipazione vuole essere un grande grazie a Gesù per il dono ricevuto. Vi accogliamo con gioia nella comunione sacramentale con tutti noi e vi auguriamo di continuare a cibarvi di questo Pane della vita. Grazie ragazzi e coraggio.

Pane della vita.
Gesù ha detto: “Io sono il pane della vita … chi mangia di questo pane vivrà” (cfr. Gv 6, 35.53). Il pane eucaristico promesso da Gesù è fonte di vita spirituale, di quella vita che inizia nella fede su questa terra e che avrà il suo compimento in cielo. Dobbiamo, quindi, chiederci: quale vita nutre il pane eucaristico? Quale è la vita che avrà il suo compimenti in cielo? Non ogni vita, ma quella che vive nella fede del Signore risorto e segue la strada che Lui ha indicato. Sappiamo che non ci cibiamo veramente del pane di vita, che è Gesù, se non lasciamo che la nostra vita sia guidata dalla Parola del Vangelo, vissuta nella gioia. Il sacramento, senza Vangelo, è svuotato della sua verità e della sua efficacia, non dà più vita; un sacramento senza Gesù è vuoto. Non costruisce più alcuna comunità cristiana.

Ciò significa che nel sacramento eucaristico è racchiuso tutto il Vangelo di Gesù, va quindi compreso, ricevuto e vissuto alla luce del Vangelo. E il Vangelo di Gesù è quello di un amore che si dona senza misura fino alla morte. Gesù diventa pane di vita per il mondo donando la propria vita per amore. Viviamo perché siamo stati amati; diventiamo pane di vita per gli altri se impariamo ad amare come Gesù ci ha amati. Per questo ci cibiamo dell’eucaristia: per imparare ad amare come lui ci ha amati.

Il senso della vita è donarsi e donare la vita. “Chi vuol salvare la propria vita la dona”: questo è il vero pane che nutre e dà senso al vivere.

Vita donata
Dalla vita donata per amore, da questo cibo solido e nutriente nasce la famiglia e, quindi, la comunità degli uomini. La logica che regge le relazioni capaci di dare vita non è l’interesse egocentrico di singoli o di gruppi. Proprio qui sta il messaggio sociale dell’eucaristia, quanto mai attuale in una società che esaspera gli egoismi individuali e dei gruppi, di chi ha, dimenticandosi di chi invece attende di entrare nel mondo del lavoro, ne è espulso o chiede soltanto di partecipare più equamente al bene comune. Il buon pastore dona la vita per le pecore, il mercenario invece le abbandona a se stesse, non è interessato alla loro vita, ma solo al loro sfruttamento e al proprio arricchimento. Le ammalia con belle parole, con promesse che sa già di non poter e di non voler mantenere, mentre si appropria subdolamente del loro latte e della lana preziosa che esse producono.

 

Questa logica perversa, frutto dell’egoismo e del vizio insaziabile della gola, mina la società, ne impedisce il progresso, toglie la fiducia reciproca tra i soci e genera la maleodorante corruzione di chi vende la propria dignità umana per accumulare denaro che, oltretutto, non gli serve. Gesù preferisce la croce, piuttosto che vendere la propria dignità umana e di figlio di Dio. Il pane che puzza di corruzione non nutre e non dà vita alla società, la manda un putrefazione. Noi non siamo così ingenui da credere che la corruzione sia soltanto quella economico-finanziaria: per quanto questa sia fortemente deleteria della vita sociale, non da meno lo è la corruzione dei costumi e la corruzione morale.

Il cristiano che vuol essere fedele a se stesso, e soprattutto a Gesù, non può seguire la logica del guadagno sporco: l’eucaristia gli ha insegnato un’altra logica, quella di Gesù che dona la vita per le sue pecore. Come sarebbe diversa la nostra società, come sarebbe più bello e pacifico il nostro vivere insieme se fossimo veramente permeati dalla logica che scaturisce dall’eucaristia!

Si tratta forse di un sogno utopistico? Di belle parole, ma che non trovano possibilità di applicazione nella vita reale delle società? Oggi sembra che più di qualcuno la pensi così, giudicando con un certo sprezzo chi non si preoccupa di guadagnare il più possibile, non importa a quali prezzi o con quali truffaldini sotterfugi.
Sono convinto che non è utopistico pensare che chi guida una comunità (sia essa una famiglia, un’industria, una istituzione civile o economica o qualsiasi altro gruppo umano) non lo deve fare per interessi propri o in modo truffaldino, ma solo per servizio al bene comune, con attenzione ai più deboli della società. Il Vangelo non è un’utopia per addormentare le coscienze o illudere le persone, è la Parola stessa di Dio, guida sicura alla libertà di tutti. Per questo è fonte di speranza, profezia di un mondo nuovo fondato sulla giustizia e sulla carità.

Se il guadagno personale diventa il massimo valore, sarà difficile non aumentare il divario tra ricchi e poveri a favore dei più forti e dei più scaltri e alla fine diverrà impresa ardua mantenere la coesione sociale, indispensabile per un ordinato svolgersi della vita insieme. Non possiamo insegnare questo ai nostri giovani, se vogliamo aiutarli a costruire una società più giusta e migliore dell’attuale, se non vogliamo che imparino a vendere anche l’anima per quattro soldi, per di più sporchi.

Vita ritrovata
Se sapremo imparare dall’eucaristia, anche la nostra società potrà ritrovare nuova vitalità, nuove solidarietà, nuove possibilità di inclusione: in una parola, nuova speranza di futuro anche per le giovani generazioni e le giovani famiglie che faticano a trovare spazio in un mondo preoccupato solo di proteggere quelli che erroneamente ritiene i propri diritti senza tener conto di coloro che ne sono esclusi.

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