aulaDi Marco Testi

Di impresentabile è davvero rimasto poco. Perché sembra non esserci un punto di riferimento preciso. Chi è uno impresentabile? Impresentabile vuol dire una marea di cose. Si sarebbe potuto dirlo di molti personaggi storici. Il grande leader greco Alcibiade, per esempio. Già da giovanissimo era malvisto per la sua capacità di sfruttare l’eloquenza a proprio favore e poi di rigirare la frittata quando non gli conveniva più. Era talmente inaffidabile che osò prendere in giro gli ambasciatori spartani durante la guerra del Peloponneso, facendo due parti nella medesima commedia. Ma era impresentabile anche perché molti consideravano eccessivamente intimo il suo rapporto con Socrate. Un altro assai impresentabile per molti a causa della sua filosofia poco ortodossa, almeno allora, e per il suo “ateismo”, tant’è che lo fecero fuori con un processo farsa. Anche Alcibiade, considerato ateo dai tradizionalisti, venne coinvolto suo malgrado in un curioso incidente: una notte furono frantumate tutte le statue del dio Hermes, e questo rafforzò la sua fama di impresentabile: per i suoi tanti avversari, non solo non credeva, come Socrate, agli “déi della città”, ma aveva ordinato la distruzione di immagini sacre.

La fama di impresentabilità lo seguì anche quando, temendo di essere condannato per la storia delle erme, abbandonò la spedizione da lui comandata e si rifugiò a Sparta, la grande nemica della sua città. Ovviamente molti spartani lo consideravano impresentabile, e quando gli fu affidata la guerra contro la sua città, temettero che prima o poi avrebbe mostrato la sua inaffidabilità. Il che avvenne, perché poi passò ai Persiani e poi di nuovo ad Atene.
Anche Hitler da una parte era ammirato per il suo coraggio durante la prima guerra mondiale, ma alcuni suoi compagni di allora lo consideravano uno curioso taciturno, pieno di scatti e di sbalzi di umore. Nel migliore dei casi uno strambo sognatore. Quando poi iniziò a tirar fuori le dottrine sulla superiorità ariana e sulla minaccia ebraica, l’opinione pubblica si spaccò, perché per molti quelle erano idee presentabili. Molti leader più o meno assoluti furono considerati impresentabili da una parte dell’opinione pubblica. Il giovane Giulio Cesare, ad esempio, era ritenuto impresentabile addirittura dal dittatore Silla (un altro impresentabile per la sua ferocia), che lo voleva eliminare. Solo le preghiere di persone influenti gli evitarono uno strano suicidio o una sparizione improvvisa. Impresentabile anche perché, pure lui, venne accusato di amicizie particolari e perché già dai primi discorsi pubblici rivendicò senza tante perifrasi la discendenza divina della sua famiglia. Secondo lo storico Svetonio disse alla folla: “Confluiscono quindi nella nostra stirpe il carattere sacro dei re (…) e la santità degli déi”, il che per un fautore della politica popolare (oggi diremmo di sinistra) significava beccarsi – dai suoi stessi compagni – l’accusa di impresentabilità. E questo capita pure oggi. Quel discorso però fu visto con favore dalla gente perché era stato coraggiosissimo: aveva tra l’altro, ed era la prima volta, pubblicamente ricordato una donna morta da poco. Le leggi dello Stato erano sacre, e una di queste era che un esercito in armi non poteva attraversare il confine del Rubicone. E anche lì Cesare decise di rimanere fedele alla sua fama di impresentabile, gettando il famoso dado.
Ma altri nomi di impresentabili ci fanno pensare. L’applicazione di alcune idee stataliste costarono al presidente americano Roosevelt l’accusa di essere nell’ordine un impresentabile di destra e un impresentabile filo-sovietico. Per alcuni Gorbaciov ha contribuito a demolire la dittatura comunista, per altri è anche lui impresentabile perché ha lasciato il mondo in mano al capitalismo selvaggio. Non parliamo di Stalin o di Mao. Perfino Pol Pot – considerato uno degli impresentabili più accreditati – è rimpianto da qualcuno.
Ma allora chi decide l’impresentabilità? Esiste un’impresentabilità assoluta? Un certo relativismo ha fatto sì che non esistano più punti fermi. E allora condanne, procedimenti in corso, violenze, la convinzione che tanto se mi beccano esco dopo pochi mesi, ci fanno desolatamente parlare di tanta libertà di fare tutto e di tanta impresentabilità, mediatica, economica e politica. E invocare, quando il vaso è colmo, una stabilità, una norma e una sanzione sicure. Eppure la storia dovrebbe insegnare qualcosa.

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