FernandezDi Vincenzo Corrado
La Chiesa italiana si prepara a una “verifica della recezione dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium”. È dedicata, infatti, a questo tema l’assemblea generale dell’episcopato italiano, che si svolge in Vaticano, nell’aula del Sinodo, dal 18 al 21 maggio. “Ci chiederemo – ha spiegato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei – quanto l’Esortazione sia entrata nella mente e nei cuori dei credenti, e sia diventata criterio di vita spirituale e di pastorale”. Per inquadrare il tema dell’assemblea abbiamo chiesto a monsignorVíctor Manuel Fernández, arcivescovo rettore della Pontificia Università Cattolica Argentina, di aiutarci nella lettura e nella comprensione di questo documento. Autore di diversi volumi, tra cui una “Guía breve para aplicar Evangelii gaudium” (San Pablo), Fernández compare tra i teologi citati nell’Esortazione (cfr n. 263).
Eccellenza, l’“Evangelii gaudium” (EG) pare richiamare le Esortazioni di Paolo VI: “Gaudete in Domino” (GiD) ed “Evangelii nuntiandi” (EN). Quali considerazioni?
“EN ed EG sono programmi pastorali. Lo Spirito Santo guida la Chiesa tutta attraverso il Papa, ecco perché vogliamo prendere sul serio questo programma, che ha ‘conseguenze importanti’ (n.25). Alcuni preferiscono non cambiare nulla o semplicemente aspettare la morte del Papa. Tornando alle Esortazioni citate, c’è, però, una differenza. EG non è un documento sulla ‘evangelizzazione’ in generale, ma, come recita il sottotitolo, ‘sull’annuncio del Vangelo’. Per questa ragione, ad esempio, si sofferma a lungo sull’omelia. GiD ha ispirato le prime pagine di EG, contribuendo a fissare il tono di questa nuova fase. Papa Francesco risveglia la gioia nel popolo di Dio, e si aspetta che noi siamo testimoni della gioia del Vangelo”.
La relazione tra gioia ed evangelizzazione è, quindi, molto stretta. È anche un modello per il linguaggio della “nuova evangelizzazione”?
“Il grande rischio attuale ‘è una tristezza individualista’ (n.2), che soffoca ‘il dinamismo della missione’, perché ‘non c’è spazio per gli altri’ (ibid.). Il problema nasce quando i credenti ‘si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita’ (ibid.). Tuttavia, ‘questa non è la scelta di una vita degna e piena’ (ibid.)”.
Entrando nel vivo dell’Esortazione, quali criteri per una sua applicazione?
“C’è un problema serio. Quando si tenta di mettere in pratica qualsiasi documento, ci risulta difficile individuare il punto centrale. Il centro di EG è l’annuncio, ma non l’annuncio di tutto il Catechismo, bensì di quel nucleo del Vangelo che è chiamato kerygma: ‘La bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto’ (n.36). Inizia evidenziando la bellezza perché non basta annunciare queste cose se non trasmettiamo la loro attrattiva. Se alcuni ritengono che questa proposta sia light, il Papa specifica: ‘Non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio’ (n.165). Alcuni diranno: già lo sapevamo. Ma non tutti coloro che hanno ricevuto la catechesi stanno vivendo gioiosamente questo annuncio, che non è qualcosa che ci si lascia alle spalle per cose più importanti. È il ‘cuore’ (n.34) che dovrebbe sempre far ‘ardere i cuori’”.
E quali passi compiere per questa applicazione?
“Motivare, uscire, inviare. Questo triplice dinamismo implica far ardere il fuoco, uscire da noi stessi a comunicarlo da persona a persona e in ogni circostanza. Infine, cercare i modi per motivare altri ad essere missionari”.
Quali conseguenze per tutte le comunità?
“Ci viene chiesto di mettere tutto al servizio dell’uscita missionaria. Per farlo, dobbiamo ‘ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori’ (n.33), dando la priorità alla vicinanza misericordiosa e all’annuncio da persona a persona, prima di ogni altra cosa. La maggior parte del tempo dovrebbe essere speso per portare il Vangelo a ognuno personalmente. Il Papa stesso ci dà l’esempio. Dedica ore a stare vicino alla gente, a esprimere l’amore di Dio, ad ascoltare, abbracciare, benedire. Per questo chiede che la parrocchia ‘realmente stia in contatto con le famiglie’ (n.28). Dobbiamo cambiare le abitudini, lo stile, il linguaggio, e persino gli orari, perché ci aiutino ad arrivare a tutti”.
Cosa significa concretamente entrare in uno “stato permanente di missione”?
“Significa raggiungere ‘coloro che sono lontani da Cristo’. Ma non necessariamente in Asia o in Africa. Forse molto più vicino. Chi sono? Coloro che non si considerano più in coscienza parte della Chiesa. Coloro che non vivono la loro fede con gioia, con piacere, con consolazione (cfr n.14). Le ‘periferie’ sono coloro che dimentichiamo o trascuriamo. In definitiva, l’invito è: dare priorità a coloro che in questo momento non fanno parte delle nostre comunità. Inoltre, perché la Chiesa arrivi a tutti, coloro che annunciano il Vangelo non possono essere i soliti pochi né devono tutti seguire lo stesso stile. Per raggiungere ogni periferia sono necessari tutti i tipi di operatori pastorali, con carismi e caratteristiche differenti, con diversi modi di essere e di esprimersi, anche se imperfetti. Per arrivare ai pazzi lo Spirito riversa carismi su alcuni pazzi. Dobbiamo far emergere queste forme di evangelizzazione che nascono spontaneamente dal popolo stesso al di là del nostro controllo”.
Può suggerire alcune domande con cui confrontarsi per verificare se si è preso veramente sul serio il documento?
“Come possiamo fare in questo paese, in questa diocesi, in questa comunità perché l’annuncio fondamentale raggiunga tutti e ciascuno? Quali sono le motivazioni che possiamo approfondire affinché si risvegli un forte spirito missionario? Quali persone del nostro quartiere potrebbero diventare missionari attraenti nel luogo in cui vivono e lavorano, per arrivare dove noi non riusciamo ad arrivare?”.
Quale sarebbe il rapporto tra questo compito missionario e l’Anno della misericordia?
“Il Papa ci propone di avere un’immensa pazienza, in modo che ci sia spazio per tutti. Per questo ‘bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita’, nella consapevolezza che ‘un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà’ (n.44). Se la perfezione non arriva, ‘non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada’ (n.45). E se qualcuno torna a cadere, Francesco ci dice che ‘Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile’ (n.3). Occorre tradurlo pastoralmente”.
Vorrebbe aggiungere altre considerazioni?
“EG include un capitolo sulla dimensione sociale e un altro su quella spirituale. Perché ‘non servono né le proposte mistiche senza un forte impegno sociale e missionario, né i discorsi e le prassi sociali e pastorali senza una spiritualità che trasformi il cuore’ (n.262). È l’unione luminosa di queste due cose che attira”.

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