islamDi Maria Chiara Biagioni
Il dialogo non è una scelta ma un imperativo per costruire la pace. Soprattutto oggi in un tempo solcato da conflitti e persecuzioni compiuti in nome di Dio. E soprattutto in Europa dove venti di radicalizzazione del messaggio islamico stanno attraversando le nostre città, facendo presa soprattutto sui giovani dai 14 ai 20 anni. L’imperativo del dialogo è stato sottolineato dai vescovi e delegati europei responsabili delle relazioni con i musulmani al termine di un intenso colloquio su islam e radicalizzazione che si è svolto in Svizzera dal 13 al 15 maggio.
La realtà dell’Islam in Europa è complessa. Negli ultimi anni, nel nostro continente, è aumentato il numero dei convertiti al radicalismo, soprattutto nelle fasce giovanili. È un fenomeno che i vescovi cominciano a guardare con interesse e preoccupazione per l’impatto che sta avendo nelle società europee. I ragazzi radicalizzati non provengono né dal mondo delle moschee né dalle organizzazioni musulmane. La radicalizzazione – spiega Olivier Roy, dell’Istituto universitario europeo di Firenze – viaggia ai margini delle società. Ma è sbagliato credere che sia una conseguenza esclusiva di povertà o marginalità. Il radicalismo fa presa sui ragazzi puntando sul fascino della violenza e della violenza sadica. Per questo torbido motivo, l’Isis ha preso a utilizzare molto bene le tecniche della comunicazione via web, con la diffusione di video sofisticati che riprendono decapitazioni e azioni terroristiche. Per i ragazzi e le ragazze europee partire per la Siria è un’avventura di cui vantarsi. Non è raro trovare, sui profili facebook, le foto in cui annunciano con in braccio un kalashnikov le partenze al “fronte”. Come degli eroi.
Ma l’Islam come si pone di fronte a questo fenomeno? È il sociologo musulmano Omero Marungiu-Perria a indicare l’urgenza per il mondo musulmano di riflettere sulla sua “visione del mondo”. Il sociologo punta il dito soprattutto sul “paradigma dell’egemonia” che caratterizza purtroppo ancora molto la linea di pensiero di teologi, e predicatori. Un paradigma che esclude l’alterità e definisce l’identità musulmana con l’appartenenza al gruppo. C’è molto da lavorare: l’esempio portato dal sociologo è quello delle “Carte” stabilite dalle comunità musulmane francesi dove è vero che viene ribadita “la libertà di religione”, ma viene completamente ignorata “la libertà di coscienza, che è quel diritto di scegliere quale orientamento dare alla propria vita e di poter cambiare”. Ma qualcosa di nuovo si sta muovendo alla base. L’auspicio è che il desiderio di cambiamento possa raggiungere presto anche i vertici perché l’Europa ha bisogno di un islam moderno, europeo e aperto alla pluralità.
La grande questione è dunque vedere come le due tendenze insite nell’Islam -tradizione e rinnovamento – evolveranno nel futuro. “Come Chiesa cattolica – dice don Andrea Pacini, coordinatore della Rete del Ccee sull’Islam – non possiamo pensare o agire ovviamente al posto dei musulmani. Quello che è e sarà l’islam è compito loro. Compito nostro è accompagnare in maniera attiva ed efficace questo dibattito rendendoci disponibili all’ascolto, al dialogo, all’interazione”. C’è una questione che sta molto a cuore ai vescovi europei tanto da definirla da Pacini come “centrale” ed è la questione della libertà di coscienza, che è quel diritto di scegliere quale orientamento dare alla propria vita e di poterlo anche cambiare.
Il messaggio finale che i vescovi inviano ai cattolici europei è quello di non cedere alla paura. Sono molte le esperienze di dialogo in atto in diversi Paesi europei che dimostrano che percorsi di vissuto condiviso sono possibili. In Francia, ci sono gli incontri periodici di scambio e conoscenza reciproca tra imam e sacerdoti. In Bosnia ed Erzegovina, da anni le Scuole per l’Europa accolgono alunni di fede cattolica, ortodossa e musulmana. “Il dialogo tra cristiani e musulmani, non solo è necessario per costruire la pace, ma è un imperativo della nostra fede”, scrivono nella dichiarazione che è stata diffusa al termine dei lavori. Certo, la paura è giustificata per l’immagine mediatica anche reale di quello che sta avvenendo nei Paesi del Nord Africa e talora anche in Europa. Ma è anche una tentazione a cui non cedere perché sarebbe fare il gioco di chi la genera. Il dialogo invece è una condizione di vita interiore. Non si impone, si vive. È il presupposto imprescindibile per costruire un’Europa di pace e lo sarà solo se sarà in grado di essere una casa in cui le diversità non sono temute ma accolte e rispettate da tutti come una ricchezza.

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