Papa Francesco ManilaZenit di Salvatore Cernuzio

Le note della celebre “We are the world” cantata da un coro di bambini hanno accompagnato l’ingresso di Papa Francesco in Aula Paolo VI. Ad attenderlo lì c’erano centinaia di bambini e ragazzi di Scuole primarie provenienti da tutta Italia, che partecipano alla manifestazione della Fondazione “La Fabbrica della Pace”.

È questo un progetto educativo promosso, oltre che dal comitato dell’omonima fondazione, dal Ministero dell’Istruzione e dalla Conferenza Episcopale Italiana che coinvolge alunni delle scuole, appartenenti a diverse etnie e religioni, tutti impegnati a ‘lavorare’ quotidianamente per la pace. Perché – come ha sottolineato il Papa nel suo discorso tutto a braccio – “la pace non è un prodotto industriale, ma un lavoro artigianale”, essa “si costruisce”, passo dopo passo, giorno dopo giorno, “col nostro lavoro, con la nostra vicinanza, col nostro amore”.

Proprio sul tema della pace si sono concentrate infatti le 13 domande che i piccoli ‘operai’ hanno rivolto al Santo Padre. Prima però, accompagnati dai loro insegnanti e familiari e suddivisi in base ai diversi colori dei cappellini, hanno fatto a gara per salutare il Pontefice. Quelli seduti ai piedi del trono papale, in particolare, si sono letteralmente fiondati su Francesco, e tra scatti rubati, pacche sulle spalle e sorrisi un po’ ‘sdentati’, ognuno è riuscito a rubare per sé un momento con il Successore di Pietro. Il Papa ha salutato, con un grande sorriso e una stretta di mano, anche l’esponente radicale Emma Bonino, presente all’incontro con i bambini della “Fabbrica” su invito dello stesso Francesco nella telefonata privata di alcune settimane fa.

Dopo i saluti, i diversi interrogativi si sono succeduti velocemente, intervallati da qualche dono come un caschetto bianco da operaio, “perché – ha spiegato un bimbo – tu sei il nostro operaio speciale della pace”. Il Papa, divertito, ha preso parola ringraziando i ragazzi per la ‘qualità’ delle domande, alcune anche “molto difficili”. “Siete stati bravi…” ha detto, cestinando quindi il discorso scritto per rispondere ad ogni quesito.

Il primo è stato “una domanda reale”: “Litigo spesso con mia sorella, ma tu hai mai litigato con la tua famiglia?”, ha chiesto una bambina. Bergoglio è sincero: “Sì, ho litigato tante volte. E anche adesso mi riscaldo un po’”. Ma, aggiunge, “alzi la mano chi non ha mai litigato con qualcuno della famiglia! Mai … mai.. tutti abbiamo fatto… è parte della vita perché io voglio fare un gioco, uno vuole fare un altro…”. Litigare “è umano” – evidenzia il Santo Padre – l’importante però “è fare la pace”, non finire la giornata litigando, ma chiedendosi sempre “scusa”.

E “se una persona non vuole fare pace con te, cosa fare?”, domanda un’altra bambina. “Rispettare la libertà della persona”, risponde Francesco, “rispettare questa scelta: tu non vuoi fare pace con me, io ho fatto tutto il possibile per farlo…”. Poi, è importante “pregare” e soprattutto “mai, mai vendicarsi”.

Il Papa, sollecitato dalle domande, amplia poi lo sguardo alle tante situazioni del mondo in cui la costruzione della pace viene ostacolata. Perché – chiede ad esempio un ragazzino – i potenti non aiutano la scuola? La stessa scuola che fa tanto bene ai bambini che vivono in paesi poveri segnati dalle guerre.

Bergoglio ribatte con un’altra domanda: “Perché tante altre persone potenti non vogliono la pace?”. La risposta è tanto semplice quanto amara: “Perché vogliono le guerre…”, perché c’è “l’industria delle armi” e ci sono tanti potenti che “si guadagnano la vita con la fabbrica delle armi” che vendono ai paesi in lotto fra di loro.

“È l’industria della morte”, esclama il Vescovo di Roma, portata avanti da quella “cupidigia”, da quella “voglia di avere più, più, più denaro” che “ci fa tanto male”. “Tutto gira introno al denaro, non intorno alla persona – soggiunge – si sacrifica tanto per il denaro, si fa la guerra per difenderlo. Per questo tanta gente non vuole la pace. Si guadagna di più con la guerra, ma si perdono vite, si perde l’educazione, la cultura…”.

La stessa svalutazione della vita e della dignità umana si riflette anche nella società, dove tante volte “è più facile riempire il carcere che aiutare ad andare avanti chi ha sbagliato nella vita”: “È più facile scartare persone che hanno fatto uno sbaglio brutto, condannare a morte, chiuderli all’ergastolo” piuttosto che aiutare ad andare avanti. Un atteggiamento che contraddice quello di Dio che invece “perdona tutto”. “Siamo noi a non sapere perdonare. Siamo noi a non trovare strade di perdono… Tante volte per incapacità”, sottolinea Francesco.

Ma cosa significa il perdono? “Significa ‘sei caduto? Alzati! E io ti aiuterò ad alzarti cioè ad inserirti nella società”, afferma. Perché come dice una vecchia canzone: “Nell’arte di salire, la vittoria non c’è nel non cadere ma nel non rimanere caduto”. Quindi, ribadisce, “il lavoro è inserire, non rimanere caduti”.

Dopo i detenuti, il Papa riflette poi su un’altra categoria di ‘sofferenti’: i bambini. Lo spunto è la domanda di Rafael, un ragazzino su una sedia a rotelle che interroga: “C’è qualche ragione per la quale un bambino senza fare niente di cattivo possa venire al mondo con i problemi che io ho avuto? Cosa suggerisce per evitare che i bambini come me non soffrano?”.

Prima di rispondere Papa Francesco fa una premessa: “A me non piace dire che un bambino è disabile, ma che questo bambino ha un’abilità differente. Tutti abbiamo l’abilità, tutti hanno la capacità di farci qualcosa, di darci qualcosa”. Poi, dicendosi “colpito” dall’interrogativo – “uno dei più difficili” che anche lo stesso Dostojevskij si è posto – spiega che “non c’è risposta” ad un bambino che soffre, ma che bisogna in quei casi “solo guardare al Cielo”.

Una risposta invece c’è alla seconda domanda: “Cosa posso fare io?”. “Stare vicino”, collaborare magari con la società per “avere centri di cura, di guarigione, di cure palliative”.  Anche questo è fare la pace, sottolinea il Pontefice, non è solo l’assenza di guerre, ma che “ci sia la gioia, l’amicizia fra tutti”, che “ogni giorno ci sia un passo avanti per la giustizia, perché non ci siano bambini affamati, perché siano aiutati nella salute”. “La pace è un lavoro, non è stare tranquilli, è lavorare perché tutti abbiano la soluzione ai problemi e ai bisogni che hanno nella loro patria, famiglia e società”.

Un’altra domanda tocca invece una dimensione più ‘personale’: “Non si stanca a stare in mezzo a tanta gente?”, chiede una ragazzina. Francesco sorride: “Io vorrei tante volte un po’ di tranquillità… Stare con la gente è bello, sì, stanca un po’… Io mi stanco perché non sono un giovanotto…”, tuttavia “stare con la gente non toglie la pace. Si c’è chiasso, rumore… ma quello che toglie la pace è non volerci bene, insieme a invidie, gelosie, togliere le cose degli altri…”.

Alla bambina che domandava come la religione aiuta nella vita, il Pontefice risponde che “la religione ci aiuta perché ci fa camminare in presenza di Dio, ci aiuta perché ci da i comandamenti, le beatitudini” e soprattutto perché ci insegna “amare il prossimo”, un “comandamento comune” a tutte le religioni che “ci aiuta a fare la pace”.

Due sono le risposte che il Papa offre infine allo ‘spinoso’ questito: “Secondo te Papa, un giorno saremo tutti uguali?”. Anzitutto, precisa, “tutti siamo uguali, ma non ci riconoscono questa verità, questa uguaglianza”. Poi, ammette che è vero che “alcuni sono più ‘felici’ degli altri”, ma questo “non è un diritto”. “Tutti – rimarca Bergoglio – abbiamo gli stessi diritti, e quando non si vede questo in una società vuol dire che questa società è ingiusta”. E “dove non c’è la giustizia non c’è la pace”, aggiunge, chiedendo a tutti i bambini di ripetere per tre volte la frase per fissarla bene in mente e uscire da questo incontro “un po’ cambiati”.

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