LauraDi M. M. Nicolais

Si può immaginare un “nuovo umanesimo” senza la donna? Certamente no, risponderebbe Papa Francesco, che ha dedicato le ultime catechesi proprio al tema della “reciprocità” tra maschile e femminile, meritandosi anche l’appellativo di Papa “femminista” tributatogli dai media per aver denunciato, tra l’altro, le varie forme di maschilismo tuttora imperanti. “Viviamo ancora in una logica di contrapposizione tra maschile e femminile, e questo ci porta a perdere la ricchezza della diversità e il valore della reciprocità”, conferma Laura Bosio, che propone di aggiungere al Discorso della Montagna una beatitudine che riguardi le donne: “Non per proclamarle beate, ma per provare a suggerire che saremo noi tutti beati, femmine e maschi, quando potremo raccontare la storia della loro felicità. La nostra”. A sei mesi dal convegno di Firenze, abbiamo interpellato la scrittrice prendendo spunto dalla Traccia, in cui l’umanesimo si declina al plurale, sulla scorta del rapporto di Gesù con le donne del suo tempo, e s’invita a “comprendere più a fondo il nostro essere uomini e donne”, partendo dalla consapevolezza di una “dignità avvertita come inalienabile”.

A quando risalgono, secondo lei, i primi pregiudizi sulle donne?
“Nell’anno Mille il vescovo Bernward fece scolpire, sui battenti del duomo di Hildesheim, Eva e Maria schiena contro schiena: Eva che ha concepito la parola del serpente e partorito la catena vita-morte, e Maria, che ha accolto le parole dell’angelo e con il suo ‘sì’ l’ha interrotto. Da Eva la morte, da Maria la vita, sintetizzava san Gerolamo per i cristiani d’Oriente e d’Occidente; da una donna la morte, da una donna la vita, variava sant’Agostino per i fedeli africani. Ma i credenti di molte latitudini hanno tradotto ostinatamente così: da tutte le donne la morte, da una sola la vita”.

Si può dire che il corpo delle donne è il campo di battaglia?
“Il peccato assume un corpo femminile: lo stesso corpo, quello di Maria, che ha partorito, allattato, tenuto in braccio, accarezzato il Salvatore. Ma Maria non può essere la torre eburnea che ancora viene evocata: è una dimora accogliente. Non può essere un giardino chiuso, ma un prato fiorito, non un giglio casto ma una rosa aperta. Il suo ‘sì’ di un’anima conscia è il simbolo di questa apertura: la liberazione da un io arroccato, dignitoso fino all’indecenza, rattrappito, costipato, impaurito, immeritatamente femminile. Nella lettura non ‘patriarcale’ suggerita da Luce Irigaray, è l’indicazione di un amore nuovo che sia scambio e non possesso. Il Figlio può nascere solo dopo il ‘sì’ della Madre, la salvezza è possibile grazie alla sua parola: parola amorosa, parola rivoluzionaria”.

Per capire la “reciprocità”, come suggerisce il Papa, aiutano i racconti della Genesi?
“Quel ‘maschio e femmina li creò’ è un passaggio dal quale non si può prescindere e che continuamente ci interroga. La dualità uomo-donna sembra essere, nell’enunciazione biblica, specchio della realtà di Dio, rinvio alla sua immagine e all’essenza costitutiva dell’essere infinito. E la dualità rimanda, in modo inequivocabile, all’alterità dell’uno rispetto all’altra: a un rapporto che diventa anche superamento di un paradosso, cioè quello della presenza in Dio di unità e dualità, di identità e alterità. Ma nel corpo di Maria, come nel corpo di ogni donna in attesa di un figlio, non sono forse presenti unità e dualità, uguaglianza e differenza, identità e alterità? Quei tratti distintivi che Gesù porta con sé nel mondo e di cui una donna, come tutte le donne, è la prima portatrice?”.

La relazione, la dualità, l’alterità sono elementi forti del messaggio di Gesù e della sua prassi di vita…
“Nel ristretto gruppo di persone che si raccolgono intorno a lui e seguono la sua predicazione itinerante ci sono uomini e donne. Ma, nei testi, i primi sono identificati con i termini ‘dodici’ e ‘apostoli’, mentre le seconde non sono né descritte né rappresentate con un nome collettivo specifico: sono un gruppo parallelo a quello degli uomini. Tuttavia Maria di Magdala, discepola fedele, non è solo testimone, con gli altri e le altre, della passione e della morte: è scelta come prima testimone della risurrezione ed è mandata ad annunciare agli apostoli la verità ultima della buona novella. Una ragazzina di Nazareth mette al mondo il Figlio di Dio e una donna di Magdala proclama il ritorno del Figlio al Padre. Prima mediatrice della Parola, prima inviata, prima apostola”.

E oggi, qual è il peso specifico delle donne per una vera “alleanza” con l’uomo?
“Le donne, oggi, penso abbiano una straordinaria possibilità: quella di portare nella società, dove si sono affacciate da poco come soggetti riconosciuti e ascoltati, la propria adattabilità e, nello stesso tempo, la propria libertà da confini inutili, da schemi rigidi e irrigidenti. Per secoli le donne, con la loro forza creatrice, sono state costrette dentro gabbie strettissime, spesso crudeli, e per sopravvivere hanno dovuto imparare l’accortezza, la flessibilità, la capacità di intuire, prevedere, associare, organizzare. Qualità che ora vengono considerate indispensabili, nel lavoro, nei rapporti sociali. Gli uomini, invece, che quelle gabbie avevano creato, sembrano essere rimasti un po’ prigionieri delle loro stesse sbarre: chiusi dentro schemi e modelli nei quali non si riconoscono più, perché non li rappresentano più, al contrario, limitano le loro possibilità di movimento. In tanti però hanno cominciato a soffrirne, a cercare vie di uscita”.

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