expodi Gianni Borsa

Prima ancora di aprire le porte ai visitatori, Expo Milano 2015 ha già raggiunto un piccolo, grande obiettivo: rimettere al centro dell’attenzione a livello globale il diritto al cibo, cui corrisponde – nell’altra faccia della medaglia – la lotta alla fame, alla povertà estrema, allo spreco in ogni sua forma. La Carta di Milano, presentata ieri, è una Magna Charta della giustizia su scala globale, è un richiamo forte alle responsabilità individuali e collettive verso chi ha meno oggi e verso le nuove generazioni di domani.
Il testo – giunto alla vigilia del taglio del nastro dell’esposizione universale e che sarà consegnato al segretario generale dell’Onu il 16 ottobre come “eredità immateriale” di Expo – è un’iniziativa del Governo italiano e raccoglie il contributo di centinaia di intellettuali, esponenti politici, degli ambienti accademici e culturali, delle imprese e del volontariato di diverse nazionalità, che hanno lavorato nei mesi scorsi attorno a una quarantina di tavoli tematici, a partire dal titolo stesso di Expo, “Nutrire il pianeta, energia per la vita”.
Nel Preambolo si afferma che i sottoscrittori (la firma è aperta a tutti all’indirizzo www.carta.milano.it) si assumono “impegni precisi in relazione al diritto al cibo che riteniamo debba essere considerato un diritto umano fondamentale”. “Consideriamo infatti una violazione della dignità umana il mancato accesso a cibo sano, sufficiente e nutriente, acqua pulita ed energia”. Da qui la sottolineatura per un’“azione collettiva” che mobiliti cittadini, società civile, sistemi produttivi e commerciali, istituzioni locali, nazionali e internazionali, per “consentire di vincere le grandi sfide connesse al cibo: combattere la denutrizione e la malnutrizione, promuovere un equo accesso alle risorse naturali, garantire una gestione sostenibile dei processi produttivi”.
La Carta di Milano, dunque, conferisce ulteriore spessore all’esposizione di Milano, e contribuisce a farne più di una kermesse internazionale sul cibo. Come ha intuito sin da subito la Chiesa cattolica, che partecipa ufficialmente a Expo, il titolo della manifestazione chiama in causa le politiche e i governi, i singoli cittadini con i loro stili di vita, i consumi, l’utilizzo delle fonti energetiche e dell’ambiente, le modalità di produrre e di condividere le ricchezze. E sollecita al contempo una visione solidaristica della vita e delle relazioni tra individui e popoli. Si genera, fra l’altro, un’attesa accresciuta attorno all’imminente enciclica di Papa Francesco sull’ecologia.
Il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, ha definito la Carta “uno strumento di cittadinanza globale”: non ha esagerato. Il documento comprende punti fermi e convinzioni, ribadisce impegni e responsabilità, analizza la realtà attuale e alza lo sguardo al futuro. Riconosce che tutti, ma proprio tutti i bambini, le donne, gli uomini, indipendentemente da dove siano nati, dal reddito di cui dispongono, “abbiano il diritto di accedere a una quantità sufficiente di cibo sicuro, sano e nutriente, che soddisfi le necessitaÌ alimentari personali lungo tutto l’arco della vita”; afferma che il cibo ha “un forte valore sociale e culturale” e non può mai “essere usato come strumento di pressione politica ed economica”. Ugualmente le risorse del pianeta vanno “gestite in modo equo, razionale ed efficiente affinché non siano sfruttate in modo eccessivo e non avvantaggino alcuni a svantaggio di altri”; lo stesso dicasi per l’accesso alle fonti energetiche, le risorse idriche, il suolo. La Carta riconosce “il ruolo fondamentale delle donne, in particolare nella produzione agricola e nella nutrizione”. I punti fermi della Carta nascono peraltro da una lettura puntuale e preoccupata della realtà: 800 milioni di persone che sperimentano ogni giorno i morsi della fame, 30 milioni delle quali muoiono ogni anno (“una guerra mondiale all’anno”, ha rimarcato Luciano Gualzetti, vice commissario del padiglione della Santa Sede a Expo); due miliardi di individui malnutriti a fronte di altrettanti sovrappeso o obesi; 1,3 miliardi di tonnellate di cibo che finiscono regolarmente, ogni 12 mesi, nella spazzatura; 5 milioni di ettari di foresta che scompaiono ogni anno e risorse ittiche sfruttate in modo eccessivo, impoverendo i mari…
Da qui l’esigenza di affrontare la sfida di una umanità da nutrire senza sferrare colpi mortali all’ambiente, rivedendo i processi produttivi e le filiere commerciali, educando a un’alimentazione sana ed evitando in ogni modo di sprecare il ben di dio disponibile.
La Carta di Milano può essere “solo” un documento, oppure può costituire un richiamo forte e senza confini per ogni coscienza e ogni istituzione, anche perché da fame e povertà si generano rivolte, guerre, migrazioni di massa, instabilità sociali e politiche. Pensare al cibo, oggi come in passato, significa occuparsi dell’umano: vi si può deliberatamente rinunciare?

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