expoUn momento di dialogo sul valore simbolico del cibo in vista di Expo 2015, un’occasione di dibattito ecumenico e interreligioso sul significato che l’alimentazione possiede per ciascun credente, sono stati i temi della tavola rotonda “Il menù della felicità”, che si è tenuta questa mattina a Milano presso l’Archivio diocesano. L’iniziativa è stata proposta dalla diocesi di Milano in collaborazione con ExpoNet, magazine ufficiale di Expo Milano. È stata un’occasione in cui i rappresentanti della tradizioni religiose presenti a Milano hanno potuto confrontarsi sul significato che l’alimentazione possiede in ogni religione. “Noi cristiani – ha detto monsignor Luca Bressan, vicario episcopale dell’arcidiocesi di Milano – saremmo felici se Expo permettesse a tutti coloro che lo vivranno di potersi sentire cittadini del mondo. Dopo l’ennesima tragedia nel Mediterraneo, diventato un cimitero per coloro che cercavano la felicità, corriamo il rischio di diventare cinici. L’Expo pare, in questi giorni, un evento senza padri, perché manca la capacità di sottolinearne la portata culturale e il menù della felicità, per la Chiesa cattolica, significa saper usare bene le cose del mondo e il legame che ci unisce al mondo stesso, per poter acquisire responsabilità”. 

Hamid Abd al-Qadir Distefano, imam della Comunità religiosa islamica italiana, ha auspicato che “l’Expo sia l’occasione per ritrovare un orientamento sacrale della vita, che unisca il cielo e la terra con l’uomo al centro come mediatore”. Per il parroco della Chiesa armena apostolica Khachatryan Tovma, “la parola felicità non esiste nella Bibbia, ma c’è la parola beatitudine, che noi decliniamo secondo tre precetti immortali: il digiuno, la preghiera e la carità, che portano al concetto di parsimonia per poter aiutare i nostri fratelli”. Giuseppe Platone, pastore della Chiesa evangelica valdese, ha evidenziato come “i protestati non hanno prescrizioni sui digiuni – che spesso però sono fatti per protestare contro le ingiustizie -, ma la preghiera che precede il nutrirsi ricorda l’atteggiamento di sobrietà contro lo spreco. Dio ha un disegno personale su ciascuno e, comprenderlo è la felicità che significa adempiere la volontà del Signore”. Riguardo ad Expo ha sottolineato come la Chiesa valdese “si aggrappi al concetto conciliare emerso a Vancouver nel 1983 nell’Assise mondiale delle Chiese cristiane: pace, giustizia e salvaguardia del creato, in cui è chiara l’idea che, come Chiese, dobbiamo dare il buon esempio”. 

Nell’Ebraismo le grandi idee sono espresse sotto forma di precetti che hanno scopo d’insegnare all’ebreo, e anche a chi non lo è, alcuni principi fondamentali. Il primo divieto espresso nella Bibbia è alimentare, proprio a indicare che ciò di cui ci nutriamo non è nostra proprietà, ma è di Dio. Il cibo, per questo motivo, merita lo stesso rispetto dell’uomo”, ha affermato il rabbino Elias Richetti. La cappellana della Chiesa anglicana, Vickie Sims, ha sostenuto: “Tutti vedono che oggi il modo di produrre cibo non è equo. La felicità rappresenta la connessione tra noi e Dio, tra noi e le altre persone: il cibo è un dono di Dio e per questo l’uomo deve preservare con cura e amore la terra”. Hamsananda Ghiri Svamini, vicepresidente dell’Unione induisti di Milano, ha ricordato le funzioni del cibo nell’induismo: “L’alimentazione è presente in tutti i passaggi fondamentali della vita dell’uomo, nei suoi principali sacramenti”. Per il monaco dell’Istituto studi buddhismo tibetano, Ghe Khenze Tenzin, “siamo chiamati a una responsabilità diretta. A Expo vedremo se al di là dei titoli poi si farà qualcosa di concreto, sennò finirà come il protocollo di Kyoto”. Theophilactos Vitsos, parroco della Chiesa greco-ortodossa, ha concluso: “La dimensione ascetica del cibo è fondamentale e può aiutarci a vedere più profondamente le cose. Anche il digiuno è importante nella sua dimensione escatologica”.

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