Don Patrizio

DIOCESI – Domenica 20 Aprile, a San Benedetto del Tronto, gli educatori di ACR diocesana si sono incontrati per un pomeriggio di approfondimento sul tema del protagonismo dei ragazzi dal titolo “Ora tocca a noi! L’ACR a misura di ragazzo.” Significativo il luogo scelto per l’incontro: la sala del consiglio comunale, segno dell’impegno civile che contraddistingue la proposta di Azione Cattolica.

Riportiamo di seguito l’intervento di Don Patrizio Spina.

Don Patrizio: “Nel mondo greco-romano del tempo di Gesù, i fanciulli non godono di molta considerazione in quanto sono visti come “materiale grezzo da formare” e da educare (Cfr. Enrico Paschetto, Gesù e i fanciulli, in Storia di Gesù, vol. 4, ed. Rizzoli, pag. 1177).

Nel popolo di Israele i bambini, pur vivendo in una situazione sociale migliore rispetto al mondo greco-romano, non hanno particolare importanza: gli Israeliti non li idealizzano, né accordano loro speciale attenzione come individui (Cfr. Enrico Paschetto, Gesù e i fanciulli, in Storia di Gesù, vol. 4, ed. Rizzoli, pag. 1178). Infatti i due mondi, quello greco-romano e quello Palestinese, si influenzano a vicenda nella vita sociale.

Fuori casa e fuori della scuola occuparsi di un bambino è considerato dagli ebrei come una perdita di tempo. Per un rabbino, poi, accarezzare ed abbracciare i bambini è un avvilire la propria dignità (Cfr. Lino Randellini, Se non diventerete come bambini, in Storia di Gesù Rizzoli, vol 4, pag. 1190). Quindi anche i discepoli di Gesù sono figli di questo modo di pensare. Anzi, c’è un momento, e questo lo attestano i Vangeli, in cui provocano l’indignazione del Maestro, il quale dimostra chiaramente che davanti a Dio i “piccoli”, i bambini, vengono prima dei grandi, degli adulti. Un modo di pensare e di giudicare, quello di Gesù, che stupisce i suoi stessi amici:

“Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: <<Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso>>. E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva”(Mc 10,13-16; Cfr, Mt 19,13-15 e Lc 18,15-17).

Ma c’è un altro brano evangelico che aiuta a fare luce sull’atteggiamento rivoluzionario di Gesù rispetto ai bambini. E’ presente nei Vangeli di Matteo, Luca e Marco. Noi leggiamo quest’ultimo riflettendo sul rapporto “grande” – “piccolo” proposto da Gesù e scoprendo, ancora una volta, che davanti ai suoi occhi i piccoli sono più grandi degli adulti:

“Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: <<Di che cosa stavate discutendo lungo la via?>>. Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: <<Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti>>. E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: <<Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato>> (Mc 9,33-37; cfr. Mt, 18,1-5; Lc 9,46-49). Quindi Gesù pone un semplice “bambino” come elemento di confronto con Lui. Chi accoglie il bambino accoglie Cristo, e chi accoglie Cristo, accoglie il Padre che lo ha mandato.

C’è, infine, un terzo episodio avvenuto nel tempio di Gerusalemme e registrato nel Vangelo secondo Matteo: “Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe. Gli si avvicinarono ciechi e storpi nel tempio ed egli li guarì. Ma i sommi sacerdoti e gli scribi, vedendo le meraviglie che faceva e i fanciulli che acclamavano nel tempio: <<Osanna al figlio di Davide>>, si sdegnarono e gli dissero: <<Non senti quello che dicono?>>. Gesù rispose loro: <<Sì, non avete mai letto: Dalla bocca dei bambini e dei lattanti ti sei procurata una lode?>>” (Mt 21, 12.14-16).  Sono loro, i fanciulli, i piccoli, e non i grandi, gli adulti, i capi di Israele, a “riconoscere, nelle meraviglie che Gesù opera, le credenziali del Messia……Si realizza qui, ciò che solennemente Gesù esclama rivolto al Padre: “Ti benedico o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25)

La nostra letteratura, come si è detto prima, fin dagli inizi quindi parla poco, ed anche male, dei bambini. La parola «pais» e «teknon» indica la discendenza dagli antenati e dai genitori, ma, oltre a questo significato, esprime anche la bassa condizione sociale, la posizione subordinata del fanciullo, per cui il vocabolo può significare anche servo, inesperto, ingenuo, tanto che si giunge al significato di «stolto» o addirittura «pazzo».

Un altro vocabolo greco, «nepios», indica il bambino in quanto debole e inesperto, ma, in senso allegorico, spesso in poesia, ha il significato di «germoglio». Anche la terminologia ebraica dell’Antico Testamento va dal senso di chi «non capisce» a quello di «stolto».

Nel Vangelo il valore del bambino, in quanto tale, si alza. Nell’episodio di Matteo (21,12 ss.) in cui Gesù entra nel tempio e scaccia tutti coloro che trova a comprare e a vendere rovesciando anche i tavoli dei cambiavalute, ecco che il termine «pais»-fanciullo si arricchisce: i fanciulli acclamavano nel tempio: «Osanna al figlio di Davide». E Gesù commenta: «Si, non avete mai letto: dalla bocca dei bambini e dei lattanti ti sei procurata una lode?» Si tratta di un salmo messianico dell’epoca di Davide (Sal. 8,3).

Nel Vangelo di Matteo (11,25 ss.) si riconosce l’importanza del bambino nella preghiera di Gesù «Ti benedico, o Padre; Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli». Il vocabolo «nepios», sopra ricordato come debole e inesperto, ora è mutato. Ai bambini sono rivelate dal Padre «cose grandi».

Senza ricorrere a interpretazioni poetiche, l’espressione «hai rivelato cose grandi», riservata al bambino, ci interroga su di lui appena nato, o nei primi mesi, o nei primi anni, come libro da leggere.

Chi sei? Che cosa porti dentro di te? Tu sei germe di una generazione che non ha confini, tu porti dentro pensieri, parole, vicende, profano e sacro che devo custodire non solo con delicata cura, ma con la mente libera da tutto ciò che non è limpido e saggio. Devo pensare che ogni bambino che incontro sta costruendo uno stile di pensiero e di azione tutto suo, tutto nuovo. Guai se il mio passo, la mia parola, il mio gesto impedisce il suo crescere nella saggezza e nella bontà: Se sei un credente, tu sai che è Dio stesso che attraverso ogni bimbo che nasce «costruisce una novità di vita» che tu, attento, devi interpretare, dal suo gesto, dalle sue prime parole, con attenzione orante.

Senti il canto delle salite di Salomone: «Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori. Se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella. L’eredità del Signore sono i figli, sua ricompensa il frutto del grembo. Come frecce in mano ad un guerriero sono i figli della giovinezza! Beato l’uomo che ne ha piena la faretra» ( Salmo 126 ).

È la famiglia in primo luogo che deve trovare nei figli il sacro e l’inviolabile, che talora può sfuggire nel gesto e nella parola. Chi di noi non memorizza quel gesto, quella parola che in casa ha sentito e forse ha sconvolto anima e mente, incisa poi nella memoria?

Per tutti, oltre che per la famiglia, incontrare un bimbo, una bimba è incontrare il sacro. Se sei credente allora il sacro è il divino. Se non lo sei, il sacro è la potenza, la forza, il mana, il tabù, il daimon che la natura ha in sé, che ti annienta e distrugge.

Quindi attento! Rispetta quel delicato germe di vita che hai di fronte a te e che sei invitato ad  “osservare” con stupore e ad accogliere.

Si è infatti invitati ad imparare come si accoglie un bambino, che  è una cosa che si può cogliere concretamente nella parentalità, in un’adozione, nell’occuparsi dei bambini orfani, nel gioco, nello sport, nell’insegnamento, nel tempo passato insieme. E tutto ciò poi lo si  mostra fondamentalmente nella cura dell’essere umano, nell’impegno per i deboli, i poveri, i malati. Tutti questi effetti di umanizzazione sono stati suscitati dalle piccole scene dell’amico dei bambini, Gesù.

I bambini per Gesù non sono solo oggetti dell’amore e della premura. Sono pure soggetti dell’amore di Dio e della fede; sono esempi per tutti. Esiste una fede infantile che non può venir meno e di  questa Gesù si fa garante con tutta la sua persona. È vero che questa fede deve svilupparsi e maturare, ma non permette alcuna distruzione intenzionale. La fede infantile è di esempio nella forza del suo fidarsi, ma è anche vulnerabile.

I piccoli che devono essere protetti dalla parte peggiore dei grandi sono, soprattutto, bambini. Sono i rappresentanti dei poveri e dei deboli, entro e al di fuori delle comunità giovanili e della chiesa. Ma rappresentano anche se stessi. Il fatto di credere in Gesù li rende ancor più fragili, perché non reagiscono alla violenza con altra violenza, ma preferiscono sopportare l’ingiustizia che farla. Soprattutto perché tutto si aspettano da coloro che sono alla sequela di Gesù, a motivo del suo amore per i bambini, tranne che di essere ingannati da questi a motivo della loro vita, del loro amore e della loro speranza. Per questo Gesù si interessa particolarmente di coloro che credono – non perché gli altri gli sarebbero uguali, ma perché sa quanto profonda si manifesta la ferita proprio in coloro che confidano in Dio, se sono e vengono ingannati nei loro desideri più veri.

E allora, ancora una volta, che significa «accogliere il regno di Dio come un bambino»?
Un giorno, delle persone conducono da Gesù dei bambini affinché li benedica. I discepoli vi si oppongono. Gesù s’indigna e ingiunge loro di lasciare che i bambini vadano a lui. Poi disse loro: «Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso» (Marco 10,13-16).

È utile ricordarsi che, un po’ prima, è a questi stessi discepoli che Gesù aveva detto: «A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio» (Marco 4,11). A causa del regno di Dio, hanno lasciato tutto per seguire Gesù. Cercano la presenza di Dio, vogliono far parte del suo regno. Ed ecco che Gesù li avverte che respingendo i bambini, stanno giustamente per chiudere davanti a loro la sola porta d’ingresso a quel regno di Dio tanto desiderato!

Ma che significa «accogliere il regno di Dio come un bambino»? In generale si comprende così: «accogliere il regno di Dio come lo accoglie un bambino». Questo risponde ad una parola di Gesù che troviamo in Matteo: «Se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Matteo 18,3). Un bambino si fida senza riflettere. Non può vivere senza fidarsi di chi lo circonda. La sua fiducia non ha nulla di una virtù, è una realtà vitale. Per incontrare Dio, ciò che abbiamo di meglio è il nostro cuore di bambino che è spontaneamente aperto, osa domandare con semplicità, vuole essere amato.

Però si può anche comprendere la frase così: «accogliere il regno di Dio come si accoglie un bambino». In effetti, il verbo greco ha in generale il senso concreto d’«accogliere qualcuno», come si può costatare qualche versetto prima dove Gesù parla d’«accogliere un bambino» (Marco 9,37). In questo caso, Gesù paragona all’accoglienza di un bambino l’accoglienza della presenza di Dio. C’è una connivenza segreta tra il regno di Dio e un bambino.

Accogliere un bambino vuol dire accogliere una promessa. Un bambino cresce e si sviluppa. È così che il regno di Dio non è mai sulla terra una realtà completa, ma piuttosto una promessa, una dinamica e una crescita incompiuta. Poi i bambini sono imprevedibili. Nel racconto del Vangelo, essi arrivano quando arrivano, e a quanto sembra non è al buon momento secondo i discepoli. Tuttavia Gesù insiste che, poiché sono lì, bisogna accoglierli. È così che dobbiamo accogliere la presenza di Dio quando si manifesta, che sia il buono o cattivo momento. Bisogna stare al gioco. Accogliere il regno di Dio come si accoglie un bambino significa vegliare e pregare per accoglierlo quando viene, sempre all’improvviso, a tempo e fuori tempo.

Perché Gesù ha mostrato un’attenzione particolare ai bambini?
Un giorno, i dodici apostoli discutono per sapere chi è il più grande (Marco 9,33-37). Gesù, che ha capito le loro riflessioni, dice loro una parola disorientante che sconvolge e scuote le loro categorie: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti».

Alla sua parola Gesù unisce il gesto. Egli va a prendere un bambino. È forse un bambino che trova abbandonato all’angolo di una strada di Cafàrnao? Lo prende, lo «pone in mezzo» a quella riunione di futuri responsabili della Chiesa e dice loro: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me». Gesù s’identifica con il bambino che ha appena abbracciato. Afferma che «uno di questi bambini» lo rappresenta al meglio, a tal punto che accoglierne uno di loro è come accogliere lui stesso, il Cristo.

Poco prima, Gesù aveva detto questa parola enigmatica: «Il figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini» (Marco 9,31). «Il figlio dell’uomo» è lui stesso, e allo stesso tempo sono tutti i figli d’uomo, cioè tutti gli esseri umani. La parola di Gesù può essere così compresa: «Gli esseri umani sono consegnati al potere dei loro simili». Durante l’arresto e nei maltrattamenti inflitti a Gesù, si verificherà una volta di più, e in maniera drammatica, che gli uomini fanno ciò che vogliono con i loro simili che sono senza difesa. Che Gesù si riconosca nel bambino che è andato a prendere, non è allora motivo di stupore, poiché, così spesso, anche i bambini sono consegnati senza difesa a coloro che hanno potere su di essi.

Gesù mostra un’attenzione particolare ai bambini perché vuole che i suoi abbiano un’attenzione prioritaria per quanti mancano del necessario. Fino alla fine dei tempi, i bambini sono e saranno  i suoi rappresentati sulla terra. Quel che si farà a loro, è a lui, il Cristo, che lo si farà (Matteo 25,40). I «più piccoli dei suoi fratelli», quelli che contano poco e che si trattano come si vuole perché non hanno potere né prestigio, sono la via, il passaggio obbligato, per vivere in comunione con lui.

Se Gesù ha posto un bambino in mezzo ai suoi discepoli riuniti, è anche affinché essi accettino d’essere piccoli. Lo spiega loro nell’insegnamento che segue: «Chiunque vi darà un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa» (Marco 9,41).

Se allora vogliamo imparare a come uscire fuori, per le periferie di cui tanto parla Papa Francesco, impariamo ad uscire dal nostro approccio con i bambini, con il nostro “abbassarci” per incontrare il loro sguardo o comprendere le loro parole.

Gesù ci mostra la Via, Lui che è Via Verità e Vita, ed è la via del bambino e ricordarsi del bambino che è in noi…

“ Proteggetemi dalla sapienza che non piange, dalla filosofia che non ride e dalla grandezza che non si inchina davanti ai bambini ”
(Gibran Khail Gibran)

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