AquilaDi Francesco Rossi

Il giornalista autentico non può limitarsi a essere un “asettico osservatore” stando dietro una scrivania, ma deve andare tra la gente, prestare “attenzione all’uomo, a tutto l’uomo, quello che vive nelle periferie esistenziali e geografiche”.
Un compito a cui è primariamente chiamata la stampa del territorio perché più prossima a quelle periferie. Una stampa oggi massacrata dalla crisi e dai continui tagli al fondo per l’editoria, cui si aggiunge la “Consultazione pubblica sull’attuazione di un modello di recapito a giorni alterni degli invii postali rientranti nel servizio universale” avviata di recente dall’Agcom, che rappresenterebbe un (ulteriore) duro colpo per “Avvenire” e per i giornali che vengono diffusi in abbonamento postale.
Di questo si parla al convegno nazionale della Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc), che si è aperto giovedì 16 aprile a L’Aquila.
Presente anche il nostro giornale diocesano L’Ancora.
A tema, “L’Italia da riprogettare e preservare nella nostra storia”, per “riflettere sulla ricostruzione non solo di questi territori e queste comunità, distrutte dal terremoto”, ha evidenziato in apertura Francesco Zanotti, presidente nazionale della Fisc, ma anche “sul Paese che sta vivendo, ormai da lunghi anni, una profondissima crisi economica”.

Pluralismo, “presidio di democrazia”.
Una ricostruzione che ha anche bisogno di un pluralismo dell’informazione come “presidio di democrazia”, usando le parole pronunciate dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso d’insediamento. “Da mesi ormai portiamo avanti la petizione #menogiornalimenoliberi che mi piace declinare come ‘più giornali più libertà’, ma al momento risposte certe non arrivano”, ha lamentato Zanotti, chiedendo ancora una volta “rigore ed equità”. “Rigore, perché si devono sostenere quelli che meritano”, ma pure “equità, perché situazioni simili vanno trattate nello stesso modo”. Monsignor Pietro Santoro, vescovo di Avezzano, ha esortato a “tornare ad avere una visione”, perché il futuro senza una visione “è ciò che di più liquido e indistinto possa esserci”. E per costruire questo futuro c’è bisogno di relazioni, di “entrare in contatto”, compito che riesce bene al giornale diocesano, ha rimarcato il vescovo de L’Aquila, monsignor Giuseppe Petrocchi, poiché questo è un “luogo dove si comunica, dove si crea un clima d’incontro, dove si promuove una cultura di comunione”. Essendo “giornalisti con l’odore dei lettori”, ha chiosato Zanotti parafrasando l’ormai celebre espressione di papa Francesco.

Una comunicazione distorta. Ma quale tipo di comunicazione emerge dalla vicenda del terremoto in terra d’Abruzzo? Monsignor Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali e sottosegretario Cei, ha messo in luce come vi siano stati “eventi comunicati in maniera distorta”, al punto che tra l’immediato post-sisma e i mesi (e anni) seguenti si è prodotta una spaccatura. L’immagine mediatica de L’Aquila e dei suoi abitanti, ha sottolineato, “prima evocava una tempra solida come quella delle montagne, tant’è che nell’immediato del terremoto colpiva come la gente vi facesse fronte”. “La canzone ‘Domani’ – ha evidenziato al riguardo – interpretava bene la percezione di stare dentro a un dramma che aveva colpito un’umanità di singolare qualità”. Passati i primi tempi, sui media invece hanno trovato spazio solo “lagnanze, lamentele, contrapposizioni, litigiosità”. È cambiata la gente aquilana, o piuttosto questo divario è frutto di una comunicazione parziale e, appunto, distorta? Luigi Vicinanza, oggi direttore de “L’Espresso”, che dal 2006 al 2010 guidò il quotidiano abruzzese “Il Centro”, ha parlato di “cortocircuito mediatico”, portando l’esempio delle “new town” provvisorie – che “dovevano evitare lo scempio dei container” – presentate dai media come “la ricostruzione tout court”. Poi, “finita questa fase emergenziale, L’Aquila è tornata in un drammatico cono d’ombra”. E Giustino Parisse, giornalista del “Centro”, che nel terremoto del 2009 perse i due figli e il padre, ha rimarcato che “la comunicazione ha fallito” nella sua missione fin da allora, “perché ha guardato qualcosa che non era la ricostruzione”, concentrandosi con enfasi sulla costruzione delle case provvisorie e dimenticando il centro storico.

Il centro storico, anima della città. Così si arriva a oggi, con un centro storico del capoluogo abruzzese che mostra ancora le ferite sanguinanti. E, sei anni dopo, da quel cono d’ombra si esce solo se c’è qualche scandalo. Eppure occorre raccontare e far sì che “possano essere ricostruiti quei luoghi della città che ne esprimono l’anima, come è il centro storico”, ha rimarcato Pompili citando alcuni esempi di cura della professione giornalistica che si trovano nel libro di Ivan Maffeis “Cronisti dell’invisibile”. “Continuare a raccontare” e “tenere sempre alta l’attenzione” è anche l’invito di Vicinanza perché “il nostro compito – ha concluso – è quello della testimonianza, di essere testimoni di ciò che succede in questa città nel bene e nel male”.

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