OspedaleDi Giovanna Pasqualin Traversa
Il futuro san Francesco di Sales, poco più che ventenne studente di diritto e teologia a Padova, ammalatosi gravemente nel 1591 espresse al sacerdote venutogli a dare l’estrema unzione il desiderio che il suo corpo fosse consegnato post mortem alla scuola anatomica della facoltà di medicina dell’ateneo patavino. La storia andò poi diversamente, ma il giovane e brillante studente aveva già allora compreso l’importanza della donazione del proprio corpo per finalità di studio, ricerca e formazione medico-chirurgica. Eppure, mentre la donazione degli organi è in Italia socialmente e culturalmente accettata, si parla poco di questo tema delicato, che può apparire macabro e disturbare la nostra sensibilità suscitando resistenze psicologiche e culturali per il valore affettivo, simbolico e culturale che il corpo rappresenta. Luogo della propria identità spirituale e biologica, mezzo di espressione di sé e punto di partenza nelle relazioni con l’altro, il corpo, una volta morto, rimanda alla persona cui è appartenuto in vita. Tuttavia, la sua donazione per l’insegnamento e la ricerca, in particolare per le dissezioni anatomiche e la “pratica” dei futuri chirurghi – l’odierna letteratura scientifica internazionale sostiene che le esercitazioni con video-trainer o con simulatori non possono sostituire l’esperienza diretta sul cadavere – costituisce un atto di generosità e di solidarietà, a condizione che al corpo venga assicurato il rispetto dovuto alla dignità della persona.
Regio decreto. Oltre che un vuoto “culturale”, il nostro Paese sconta anche un vuoto legislativo. A disciplinare infatti la materia è ancora il regolamento di polizia mortuaria che si rifà a sua volta all’art. 32 di un Regio decreto del 1933, tuttora vigente, in cui si stabilisce che i corpi non reclamati da congiunti fino al sesto grado di parentela possono essere utilizzati a fini scientifici. Nel suo parere del 30 maggio 2013, il Comitato nazionale di bioetica ha sottolineato la “valenza etica della donazione” del corpo post mortem, ma ha al tempo stesso rilevato la “non accettabilità etica” di quanto previsto dal Regio decreto, ritenendo che debba essere rigorosamente rispettato il “principio del consenso consapevole e informato” del donatore e non più applicato il meccanismo del silenzio – assenso. Quella norma non viene tuttavia quasi mai attuata, e i pochi cadaveri messi a disposizione, “una cinquantina nel 2013 contro i 23 dell’anno precedente, anche se è difficile avere dati precisi”, spiega Raffaele De Caro, direttore del Dipartimento di anatomia e fisiologia dell’Università di Padova e promotore del Programma di donazione del corpo e delle parti anatomiche dell’ateneo, provengono da donatori volontari. “Lavorare direttamente sul cadavere -assicura – è un’esperienza fondamentale per il medico chirurgo che si avvicina alla sala operatoria ma anche per chi vuol sperimentare nuove tecniche chirurgiche”. In mancanza di una normativa nazionale, chi oggi desidera donare il proprio corpo può rivolgersi ai tre centri universitari attivi in Italia: il Centro di anatomia clinica dell’Università di Padova, il Laboratorio per lo studio del cadavere di Torino, il Centro per la donazione del corpo post mortem di Bologna, ma l’intenzione deve essere espressa con una dichiarazione compilata e sottoscritta dal donatore. Il consenso dato è revocabile in qualsiasi momento, e la donazione del proprio corpo non è di impedimento alla donazione degli organi finalizzata al trapianto che ha ovviamente la precedenza.
Verso una regolamentazione? Nel maggio 2014 la Commissione Affari sociali della Camera ha approvato in sede referente un testo unico che riunisce in nove articoli alcuni progetti di legge giacenti in Parlamento. Il documento prevede, tra l’altro, che il consenso del donatore venga espresso in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata; stabilisce l’individuazione di “centri di riferimento” (strutture universitarie e aziende ospedaliere di alta specialità da utilizzare per la conservazione e l’utilizzazione delle salme) da parte del ministro della Salute, previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni e di concerto con il ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca; afferma che l’utilizzo del corpo umano post mortem non può avere fini di lucro. Antonio G. Spagnolo, direttore dell’Istituto di bioetica dell’Università cattolica del Sacro cuore, spiega al Sir che due punti del testo “forse sono poco chiari” e richiederebbero “più attenzione”: “il consenso per l’utilizzo del cadavere del minore” e “la restituzione della salma alla famiglia fino a due anni dopo la morte”. Tuttavia, conclude, “è auspicabile ed eticamente rilevante che il disegno di legge venga approvato senza ulteriori ritardi”.

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