LavoroDi Nicola Salvagnin
Una necessaria operazione di verità e di realismo. Il governo Renzi – invece di fare come i predecessori che sfogliavano il Piano delle infrastrutture partorito 14 anni fa e allegato al Def (Documento di economia e finanza), facendosi una grassa risata per poi richiuderlo prontamente nel cassetto dei sogni irrealizzabili – ha deciso che è ora di finirla con le enormi elencazioni del tutto, dietro al quale nascondere il niente, e ha operato un deciso repulisti. Dai 419 interventi suddivisi in 1.420 lotti (per una spesa che era lievitata fino a 383 miliardi di euro: da qui le grasse risate), si passa a meno di 50 grandi opere e a circa 80 miliardi di euro di spesa. Che già così è notevole di suo.
Un’operazione di serietà che vedrà la luce con l’ormai prossimo Def e che era assolutamente necessaria per dare all’Italia una prospettiva seria al suo sviluppo infrastrutturale, e non solo un mero elenco di opere che è stato realizzato in minima parte (l’8% in quasi 15 anni la dice tutta su che “libro dei sogni” fosse). A sparire dalla circolazione ci sarebbero due grandi autostrade in progetto: la Mestre-Orte e la Tirrenica, cioè la Livorno-Civitavecchia.
La prima in realtà consisteva nell’alternativa all’intasatissima Statale Romea tra Mestre e Ravenna, quindi nella trasformazione in autostrada della superstrada Ravenna-Orte. Bella cosa, in teoria, salvo il fatto che il costo preventivato puntava deciso ai 10 miliardi di euro, due ponti sullo Stretto uno affiancato all’altro. La Tirrenica poi era contestatissima dagli ambientalisti (avrebbe tagliato in due la Maremma) e francamente non così vitale rispetto all’arteria stradale esistente.
Si “asciuga” anche l’eterna Salerno-Reggio Calabria: finanziati solo i lotti realizzabili a breve. Stessa logica per la futura Jonica che dovrebbe collegare la Calabria a Taranto via Basilicata: tratto trafficatissimo, ma i soldi sono quelli che sono. E la stessa identica logica – si fa quel che è possibile fare da domani – varrà per l’alta velocità ferroviaria tra Napoli e Bari.
Sano realismo e nessun viadotto lasciato a metà: si tratta di progetti che esistono il più delle volte solo sulla carta. È diventato sempre più difficile e costoso realizzare autostrade e ferrovie in un’Italia densamente popolata e urbanizzata. Non agevola un territorio ricco di colline e montagne; non agevola nemmeno il fatto di avere un debito pubblico più alto di quelle montagne, e quindi il poco che si ha, va investito con oculatezza.
E il presente non racconta episodi edificanti, quanto a realizzazioni fatte. La Brebemi di fresco inaugurata collega il vuoto attorno a Brescia al vuoto attorno a Milano, ferocemente osteggiata dal gestore autostradale della vicina Milano-Venezia: è così poco utilizzata da finire asfaltata dall’ironia di internet. E a che cosa serva il “prolungamento a sud della Valdastico” che ha collegato Vicenza ad… Agugliaro, lo sa solo chi lo sta realizzando. Già la Valdastico Nord si ferma a Piovene Rocchette e da decenni attende – mezza vuota – che Trento le consenta di allungarsi fino a lì…
Gli investimenti pubblici sono vitali per far ripartire la macchina-Italia. Ma per opere a loro volta assolutamente necessarie, realizzate bene, senza quei tempi biblici e i celebri “adeguamenti dei costi” che fanno di ogni infrastruttura tricolore un’eterna fabbrica di spesa. Cambiare verso a questo andazzo era necessario, oltre che doveroso.

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