kenyaIl Papa curvo che lava i piedi ai carcerati e i corpi trucidati degli studenti in un college universitario in Kenya.
Strano Giovedì Santo quello vissuto ieri nel mondo. Come può il nome di Dio essere pronunciato in maniera così diversa? Quanto è abissale la distanza che divide l’umiltà da una parte e l’arroganza omicida dall’altra?
Papa Francesco ieri ha deciso di varcare il muro delle carceri e di inchinarsi di fronte all’errore, all’emarginazione, al difficile cammino di una espiazione interiore e sociale. Ma nelle stesse ore, a migliaia di chilometri di distanza, in un luogo a Nord del Kenya, un commando di al-Shebaab entrava in un college universitario e per tutta la giornata, dall’alba al tramonto, ha sparato, tagliato teste, ucciso guardie e studenti, asserragliato i cattolici. Sono somali, legati ad al-Qaeda, e hanno dichiarato guerra in nome di un Dio che non esiste, alla cultura, allo sviluppo, all’emancipazione delle donne.
L’acqua del perdono sempre possibile e il sangue degli innocenti. Possono mondi così diversi dialogare? Tutto oggi concorre a dire che no, non è possibile. Che la guerra è dichiarata ed è l’unica via percorribile. Che non ci sono altri mezzi di soluzione e di persuasione. È un tunnel oscuro quello in cui siamo entrati. E dopo gli attentati di Parigi e Copenaghen che hanno mietuto vittime tra gli ebrei, i musulmani e i cristiani, in questo tunnel ci siamo dentro tutti. Non c’è dunque altra soluzione oggi che uscirne tutti insieme. Perché la convivenza tra i popoli non è più una scelta, ma una necessità. I continui movimenti migratori mischiano i mondi e li fanno inevitabilmente incontrare. C’è dunque un destino ineluttabile che ci attende. E questo destino è l’incontro nel dialogo, non lo scontro nel pregiudizio.
La Pesach ebraica, la Pasqua cristiana, la fedeltà dei musulmani al Corano, saranno luce per il mondo solo quando sapranno dimostrare che non solo è possibile vivere insieme ma è anche il dono più prezioso che ci è offerto oggi dalla storia.

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