vescoviDi Vincenzo Paticchio

Una Via Crucis per continuare a sperare. Un lungo cammino di penitenza e di preghiera per invocare aiuto e implorare protezione. Un appello unico e corale per evitare che il Salento diventi un “Getsemani senza ulivi”. È stato questo il senso dell’iniziativa di comunione intrapresa dai pastori salentini in questa Settimana Santa così diversa, ma sempre intensa per fede e devozione.
Lunedì 30 marzo, oltre 4mila fedeli provenienti dalle cinque diocesi della Metropolia di Lecce (Lecce, Otranto, Brindisi-Ostuni, Nardò-Gallipoli e Ugento-Santa Maria di Leuca), hanno camminato nella notte dietro alla croce guidati dai loro pastori. E hanno fatto compagnia alla luna piena con le fiaccole della speranza, scandendo i passi faticosi di Gesù che sale al Calvario, sulla Via Leucadensis, l’antica strada che conduceva i pellegrini – tra due ali di muretti a secco e la compagnia di migliaia e migliaia di ulivi secolari – al Santuario “de finibus terrae”, l’ultimo “segno” cristiano di un Paese che si getta nel Mediterraneo e guarda preoccupato a Oriente.

“Signore, fino a quando?” è stato il sentimento comune della Via Crucis che, fin dal suo annuncio, attraverso un comune messaggio pasquale dei cinque pastori, ha assunto i contorni di un energico appello sociale che i vescovi hanno voluto lanciare come segno di una Chiesa che vive tra la sua gente, ne condivide le enormi difficoltà, promuove e partecipa alle sue speranze. “L’operosità della gente salentina – hanno scritto i vescovi – deve, ogni giorno fare i conti con una difficoltà economica e sociale che genera precarietà e mancanza di lavoro, senza che una progettualità alta delle nostre classi dirigenti riesca ad aprire orizzonti di positiva rinascita”. Oltre a tutti i drammi che i vescovi denunciano – povertà delle famiglie, spesso costrette ad emigrare; “disagi di vario genere e di differente significato morale” come la ludopatia e l’alcolismo; l’emergenza tumori spesso conseguenza di scellerate scelte industriali – uno, in particolare, preoccupa con crescente impeto la gente salentina: la minaccia della Xylella fastidiosa, il batterio killer che sta distruggendo inesorabilmente una innumerevole quantità di ulivi. E con essi la storia di un popolo, l’identità contadina di una terra che ha fatto dell’ulivo il suo simbolo, una delle attività produttive che ancora oggi rappresentano una delle poche speranze per le giovani generazioni che non vogliono disperdere il prezioso patrimonio dei padri. Dietro l’angolo lo spettro dell’eradicazione di migliaia e migliaia di ulivi secolari infettati dalla “peste delle piante”, non essendo giunte, ancora ad oggi, risposte efficaci dalla ricerca scientifica che da molti anni studia il fenomeno.

Dalle Chiese locali, allora, gli appelli incessanti e la grande preghiera della Via Crucis per esprimere una sentita vicinanza e una consapevole solidarietà soprattutto con gli operatori del settore. “Vivere il territorio come bene comune – ha rilevato al termine della Via Crucis, monsignor Domenico D’Ambrosio, arcivescovo metropolita di Lecce – richiama le nostre comunità ecclesiali a una presenza pasquale. Dobbiamo prendercene cura perché esso continui a produrre il pane e il vino per nutrire ogni uomo”. “Dobbiamo prendercene cura – ha proseguito – perché continui a produrre l’olio, fonte di sostentamento e ricchezza per la nostra terra e la nostra gente”. “Chiamiamo a raccolta tutti i rappresentanti delle Istituzioni – ha concluso D’Ambrosio – perché non restino sordi e distratti al grido di dolore che si è alzato da questa Via Crucis, raccolgano le migliori energie e si sforzino di trovare le migliori soluzioni per far crescere il nostro popolo”.
“La celebrazione di questa sera, ha sottolineato monsignor Domenico Caliandro, arcivescovo di Brindisi-Ostuni, “ha voluto ricordare le ferite di cui soffre la nostra terra: esse possono essere guarite solo da coscienze animate dalla giustizia e da mani solidali. Guarire è voce del verbo amare”.
“Abbiamo celebrato la Via Crucis – ha ribadito monsignor Vito Angiuli, vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca – nella certa speranza che celebreremo la Via Lucis, la strada che ci conduce a riscoprire la resurrezione del Signore, unica ragione della nostra fede. Vero motivo di ogni nostra speranza”. “Questa sera – ha concluso Angiuli – abbiamo voluto ascoltare il grido di Dio creatore nascosto nel grido della terra, ma vogliamo anche riconoscere la nostra corresponsabilità per la casa comune, per la sofferenza che colpisce la terra e coloro che la abitano. In questa Via Crucis abbiamo portato nel cuore di Dio il dolore del nostro Salento che, negli ulivi che seccano vede seccare la sua memoria e forse, anche la sua speranza”.

“Signore, anche noi – recita un testo della Via Crucis notturna – ci sentiamo accerchiati da voci che urlano ‘Muori! Muori’. Estirpare gli ulivi malati, trivellare le nostre coste, ammassare sogni e idee sui treni per i viaggi verso i ‘Nord’: la malattia di Pilato sembra aver contagiato mente e cuore: ci si lava le mani con un bel ‘non c’è altro da fare’”. E ancora: “Signore, dacci forza e sapienza per restare a prenderci cura del nostro Salento… anche se l’anno prossimo, con il cuore ancora più spoglio di oggi, forse dovremmo percorrere con un Getsemani senza ulivi”.

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