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A tu per tu con Matteo Pagnoni per la nostra nuova rubrica “Musica e Fede”

Oggi il nostro giornale inaugura la rubrica “Musica e Fede”.
Conosceremo i musicisti della nostra zona e, grazie a loro, scopriremo qual è il rapporto tra la musica e la Fede.

Il primo ad essere intervistato è Matteo Pagnoni, cantante dei Levy.

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Come e quando è nata la vostra passione per la musica?
Da bambini direi, siamo abbastanza “vecchi” del mestiere! Avevo circa tre anni quando feci preoccupare mia madre dicendogli apertamente e con convinzione che da grande avrei voluto essere un cantante. Ancora oggi non so se ci sono riuscito.

Quando e come è nato il gruppo?
La band è nata da un’idea solista del sottoscritto, per poi consolidarsi in un trio in questi anni. Ufficialmente nasciamo nel 2010 con l’uscita nel dicembre dello stesso anno del primo disco “Seguimi”, anche se già si lavorava alla stesura dell’album dall’anno precedente.

Perché avete scelto il nome Levy? Cosa significa?
Mi chiamo Matteo, il corrispettivo di Levi nei Vangeli. Inizialmente il nome che avevamo scelto era, appunto, Levi. Poi, dal 2015, il nome è cambiato in Levy perché  esprime molti più significati a cui siamo legati, soprattutto come nemesi di libertà purtroppo. Inoltre  “To levy” in inglese vuol dire tassare, mi sembra c’entri parecchio coi nostri giorni.

Il vostro ricordo più bello legato al gruppo?
Ce ne sono tantissimi e riguardano tutti i concerti che abbiamo tenuto. I più belli sono legati al tour che abbiamo fatto dopo l’uscita del secondo disco “Poveroccidente”. Poi ci sono anche i viaggi in macchina.. a volte sono successe cose davvero comiche!

Invece, l’esperienza più brutta?
La poca attenzione e la mancanza totale di rispetto del pubblico in alcune date! Dare le spalle al gruppo a pochi metri di distanza, parlando ad alta voce noncuranti del concerto..

Dove si possono acquistare i vostri dischi?
http://www.mediafire.com/?n51knp81i5kiuwb è in free download il secondo album.

Il vostro è solo un hobby o un vero e proprio lavoro?
Nessuno dei due, è un amore profondo. Come un innamorato non può stare lontano dall’amata, noi non potremmo mai stare senza la musica! Resta chiaro che nel nostro paese è quasi impossibile vivere con la musica, ma che possa diventare un lavoro è un sogno grande.

Oggi tutti filmano e fotografano i concerti con gli smartphone per poi condividere tutto sui social. Cosa ne pensi, come artista, delle recenti evoluzioni di internet? Mi riferisco alla possibilità di raggiungere in modo semplice e veloce milioni persone, ma anche ai rischi legati alla privacy o alla pirateria.
L’apporto di nuove tecnologie è determinante in maniera positiva solo nel momento in cui si pone un codice di comportamento equo e mai estremizzato della sua applicazione. In poche parole vedo troppe condivisioni e poco stupore, attesa. Questo non giova ad un artista. Io sono ancora uno di quelli che ascolta mesi un intero album prima di averlo digerito. Oggi l’ascoltatore medio fa come l’oca, butta giù tutto senza digerire e in men che non si dica finisce tutto nel dimenticatoio. Mangiamo troppa musica troppo velocemente. Non digeriamo, non ci nutriamo, non rimane molto.
È così siamo poveri, diventiamo deserti. Tutta la roba che condividiamo dovremmo soffermarci anche a riascoltarla più volte, senza paura, senza fretta ma soprattutto senza ansia.

Progetti per il futuro?
Stiamo preparando il terzo album in lingua inglese da qualche mese, nel prossimo inverno uscirà assieme ai video ufficiali, poi il tour in Italia e in Europa.

E per finire… il tuo rapporto con la Fede?
Sono credente e praticante. La Fede l’ho scoperta da adulto, dopo un periodo difficilissimo dove ho rimesso in discussione tutta la mia vita. Ho messo parecchio nei testi delle mie canzoni, a volte questo mi ha comportato discriminazioni, ma non importa! Non recito mai quando scrivo, porto tutto me stesso anche sul palco.