torinoMarco Bonatti

Ci sarà, in giro per il mondo, un’opera di carità dedicata al Santo Volto di Gesù Cristo – e dunque alla Sindone. Sarà una scuola, un dispensario, un centro sociale – non si sa, ci penserà Francesco, e parlerà di Torino. I soldi necessari, infatti, saranno quelli delle elemosine dei pellegrini della Sindone, raccolti dal 19 aprile fino al 21 giugno, e che saranno consegnati al Papa quando verrà per incontrare tutti i torinesi.
Di solito le offerte dei pellegrini della Sindone vengono raccolte dalla diocesi, e destinate comunque ad opere di carità: ma l’arcivescovo Nosiglia ha suggerito questo gesto, di consegnare tutte le offerte a Francesco, per indicare una “durata”. Presentando il programma della visita del Papa, Nosiglia ha detto: “A noi basta che questo frutto dell’ostensione, la solidarietà concreta di migliaia di pellegrini, diventi anche un ‘fiore di carità’ nelle mani di Francesco”.
L’indicazione di consegnare le offerte al Papa interpreta anche molto bene il clima di attesa – e di speranza – che la città comincia a vivere preparando l’ostensione e la visita di Francesco. Di speranza soprattutto, Torino continua ad avere un gran bisogno. Il lunghissimo distacco tra città e fabbrica, cominciato fin dagli anni ‘80 del secolo scorso, finisce di consumarsi in questi mesi, quando la Fiat ha perso anche il nome e dunque Torino (Fabbrica Italiana Automobili…).
La città che cerca di ridisegnare il proprio destino ha bisogno di idee originali, di marketing urbano ma soprattutto di “motivazioni forti”, di ragioni profonde di speranza, nel cuore delle persone, per affrontare un futuro che non sarà mai più quello di prima, fatto di borghesia e ceto medio, operai e impiegati fortemente garantiti sul piano sociale. Oggi c’è la disoccupazione endemica, catalizzatore di altri disagi, portatrice di fragilità prima sconosciute tra le famiglie di italiani.
Il viaggio di Papa Francesco nella città racconterà anche questi itinerari, cominciando proprio dalla testimonianza di saluto che offriranno tre rappresentanti del mondo del lavoro. Poi a pranzo il Papa ha chiesto d’incontrare e condividere le povertà più gravi e vistose, quelle dei giovani detenuti del carcere minorile, degli immigrati, dei nomadi e dei senza fissa dimora. E ancora un lungo dialogo con i giovani, sul finire della giornata in piazza Vittorio (dove al mattino si celebrerà la Messa); altri giovani lo aspettano nel primo pomeriggio a Valdocco, cuore del mondo salesiano, e meta principale, con la Sindone, del viaggio a Torino: in questo 2015 i figli di don Bosco celebrano i 200 anni dalla nascita del santo.
Gli incontri con la gente si incrociano a quelli col mistero: la Sindone al mattino. Francesco la vedrà in compagnia delle monache di clausura e dei preti torinesi ammalati. La preghiera alla Consolata, dove Jorge Bergoglio, da prete e poi da cardinale di Buenos Aires, veniva a pregare ogni volta che passava da Torino per incontrare i parenti. Questa volta, da Papa, i parenti li avrà tutti intorno la mattina di lunedì 22, per celebrare con loro la Messa e pranzare insieme. E mistero, ancora, al Cottolengo. Non c’è Papa che possa permettersi di passare da Torino senza immergersi nella Piccola Casa.
L’ostensione del 2015 è dedicata all’“Amore più grande” (Vangelo di Giovanni 15,13). Ma tutti sanno che l’amore più grande che si scopre guardando la Sindone lo si vede poi realizzato qui, nell’accoglienza degli ultimi diventata non solo stile di vita ma addirittura “vocazione”, scelta religiosa per l’esistenza intera. Dopo Giovanni, Paolo e Benedetto anche Francesco sarà alla Piccola Casa a portare il suo saluto, a “lasciarsi guardare” dall’amore, come lui stesso esortava nel 2013, nel videomessaggio per l’ostensione televisiva del Sabato Santo.
In una cornice dove la sofferenza, il mistero e la speranza sono mescolati insieme si comprende anche meglio il significato della visita al Tempio valdese – la prima di un Papa, nella chiesa di corso Vittorio Emanuele. Le divisioni nella Chiesa non sono una ferita qualsiasi ma “la” ferita, per Francesco che iniziò il suo ministero parlando non di “Papa”, ma di “un vescovo per Roma”; venire a visitare i fratelli evangelici in una delle loro sedi storiche è un gesto che “riempie il futuro”, accende prospettive in altri tempi remote. Ma dice anche della semplicità di chi, da credente, è capace di compiere un passo fondamentale, nel solo nome di quel Gesù Cristo che ci unisce, senza per questo negare la storia che ci ha diviso.

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