colombiaDi Bruno Desidera

Il cammino verso una storica pace è ormai per la Colombia un cammino senza ritorno. Qui in cinquant’anni la guerra civile ha provocato 220mila vittime, più di 250mila desaparecidos e la fuga verso le aree urbane di 5 milioni di persone (i cosiddetti desplazados). Nelle ultime settimane si sono moltiplicati i segnali positivi nel corso delle trattative che si svolgono a L’Avana, capitale di Cuba, tra il Governo di Bogotà, presieduto da Juan Manuel Santos, e i guerriglieri delle Farc. Nei giorni scorsi anche un rappresentante del Governo Usa si è seduto al tavolo dei negoziati. La Banca mondiale e il Governo svedese hanno messo a disposizione 7 milioni di dollari per risarcire le vittime della guerriglia. E nelle settimane scorse l’intero Stato maggiore dell’Esercito si è riunito a Cartagena con esperti in gestione del dopoguerra, per iniziare a pensare al “dopo”. Nessuno, infatti ormai vuole pensare al fallimento delle trattative, dopo la vittoria di Santos alle presidenziali e la tregua unilaterale proclamata dalle Farc. Per la prima volta, nei sondaggi, la maggioranza della popolazione colombiana è fiduciosa e guarda con favore al processo di pace.

Tutte e due le parti hanno fretta. Da Bogotà conferma padre Luigi Duravia, missionario della Consolata originario di Trevignano: “Da più di un anno la guerriglia e il Governo stanno dialogando a Cuba. Avevano un’agenda di 5 punti; pare che sui primi tre siano già arrivati a un accordo, per esempio sulla riforma agraria, adesso stanno discutendo sul risarcimento delle vittime e finalmente sulla consegna delle armi. A me pare che tutte e due parti abbiano fretta; il Governo perché vuol dimostrare alla gente di aver realizzato quello che aveva promesso in campagna elettorale, firmare la pace. La guerriglia ha interesse a dare vita a un nuovo partito di sinistra, che si presenti magari già alle elezioni amministrative di quest’anno. La gente in generale sta appoggiando il processo, ma non manca chi sta mettendo i bastoni fra le ruote e fra questi, primo di tutti l’ex-presidente Uribe. Ad ogni modo, si pensa che prima della fine dell’anno si arrivi a firmare un accordo di pace”. Secondo padre Duravia “la guerriglia ha dimostrato buone intenzioni; ha decretato una cessazione unilaterale delle armi da due mesi e finora stanno mantenendo la promessa. Qualche giorno fa le Farc hanno annunciato che non arruoleranno più nessun minore di 17 anni. E la gente sta chiedendo che liberino tutti i minorenni che tengono prigionieri”.

Attesa per il cessate il fuoco bilaterale.
Lo scorso 5 marzo, in occasione della sua partecipazione a una conferenza Onu a Ginevra, il ministro degli Esteri della Colombia Ángela Holguín Cuéllar ha affermato che “l’ipotesi di un cessate il fuoco bilaterale”, che faccia seguito alla decisione unilaterale delle Farc, “è sul tavolo dei negoziati a L’Avana. Se ne sta parlando, anche se non è possibile fare previsioni su eventuali scadenze”. Il ministro ha anche auspicato l’inizio di negoziati con l’altro importante gruppo di guerriglia presente nel Paese l’Ejército de Liberación Nacional (Eln). E proprio in vista di un dialogo mercoledì 4 febbraio la Conferenza episcopale colombiana ha tenuto un incontro con vari vescovi del Paese per condividere strumenti e strategie per favorire la pace anche con l’Eln.

Non cessano gli episodi di violenza.
Certo, questo non significa fare la pace da un giorno all’altro. Il clima di violenza si continua a respirare nel Paese. “Ad esempio – ricorda padre Luigi – in queste settimane c’è una campagna nazionale, con articoli e telegiornali a non finire, e anche qualche marcia di protesta, per i tanti bambini che continuano a essere uccisi. In particolare qualche settimana fa ha molto colpito l’opinione pubblica l’uccisione di 4 fratelli, dai 4 ai 17 anni da parte di due sicari a Florencia (Caquetá)”. Secondo un documento, reso noto dall’Unità delle vittime, oltre 2 milioni di minori sono vittime di violenza in Colombia: abusati, sfollati, mutilati dalle mine. Tra questi 47.724 sono rimasti vittime di omicidio. Il 30% del totale delle vittime nel Paese sono stati bambini e bambine. Dal documento risulta, inoltre, che la vita di circa 10mila minori è a rischio di atti terroristici, attentati, combattimenti o molestie, mentre 60mila hanno subito intimidazioni e minacce. Secondo fonti dell’Unità per le vittime, dal 2010 il numero dei piccoli coinvolti nei conflitti è però diminuito: nel 2014 ne sono stati registrati 47.044, mentre nel 2013 erano stati 105.463; nel 2012 erano 106.886; nel 2011 erano 112.682 e nel 2010 un totale di 84.816.

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