giustizia

Di Floriana Palestini, S. I. e L. P.

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Abbiamo intervistato il giudice Aldo Manfredi, Magistrato dal 1982.
Ha svolto le funzioni di Giudice Istruttore Penale nella vigenza del vecchio codice di procedura penale e quindi per dieci anni quelle di GIP presso il Tribunale di Teramo con un periodo di applicazione presso la Sezione GIP del Tribunale di Milano. È stato titolare di Corte d’Assise e quindi coorditatore della Sezione distaccata del Tribunale di Teramo in Giulianova. È attualmente consigliere della corte d’Appello di L’Aquila, adetto alla Sezione penale ove si interessa, tra l’altro, di reati fallimentari, societari e tributari. È Presidente di Sezione della Commissione Tributaria Regionale delle Marche.
Ha svolto e svolge attività di collaborazione presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Teramo e di docenza di procedura penale presso la Scuola per le professioni legali di detta Università e presso il corso per Avvocato Penalista della Camera Penale di Pescara.

Giudice Manfredi come è nata la passione per il diritto? Cosa sognavi di fare da bambino?
Da bambino sognavo di fare il calciatore e il musicista, tutt’altre cose.
Poi l’interesse per il diritto mi è stato trasmesso: mio padre era magistrato e in casa respiravo questa atmosfera, poi all’università è stato un piacere crescente perché più studiavo, più mi appassionavo.

Come si è evoluta negli anni la giurisprudenza?
La giurisprudenza evolve sempre, perché è un corpo vivo. Essa è l’interpretazione che il giudice dà della legge e la sua applicazione al caso concreto, nella sua dinamica sociale. Pensi a come può essere cambiato il concetto giuridico di osceno negli ultimi 20 anni: c’è un reato, quello degli “atti osceni”. È chiaro che la giurisprudenza deve interpretare il cambio dei tempi: a volte lo anticipa, altre volte lo segue; è sempre una evoluzione costante. La stessa norma che leggiamo oggi, 30 anni fa veniva letta, interpretata e applicata diversamente.

Come si collega la propria fede al diritto, anche di fronte alle diverse questioni? Come si riesce a vivere i processi serenamente?
È quello che abbiamo fatto nel convegno “Fede e diritto”. Certo, fare il giudice è forse il più grande atto di presunzione da parte dell’uomo, poiché un giudice è chiamato a giudicare gli altri. È un impegno gravoso. La fede aiuta molto perché rende e fa leggere questo intervento un atto di carità volto ad assicurare una giusta convivenza tra le persone, a sanare ciò che è stato leso. Questo è secondo me l’approccio che il giurista cristiano dà alla sua attività.

Ci racconta qualche aneddoto vissuto in questi anni?
Di aneddoti ce ne sono tanti; io sono giudice penale: il diritto civile regola i rapporti fra le parti, i rapporti contrattuali, il diritto penale è invece il diritto che affonda nelle piaghe della vita, nelle vicende spesso drammatiche, spesso dure, certamente con un impatto emotivo diverso, che logora.
I miei precoci capelli bianchi ne sono un esempio. In tutto questo ci sono anche fatti curiosi, ne avrei tante da dire, fatti curiosi di cui a volte si ride in mezzo a tante realtà drammatiche. Il problema della nostra giustizia è che al nostro vaglio a volte arrivano dei casi minimali, di cui siamo però costretti a interessarci: la lite tra due persone che si mandano a quel paese in maniera alquanto fantasiosa è tra le cose che potremmo risparmiarci.

Invece i casi più importanti di cui si è occupato?
Appena due anni dopo che ero entrato in tribunale, ero giudice istruttore, una figura processuale che oggi non c’è più perché parte del vecchio ordinamento: per intenderci, Giovanni Falcone era giudice istruttore. Dunque io ero all’inizio della carriera e mi capitò di trattare un segmento dell’indagine sulla strage dell’Italicus (ndr, attentato terroristico che costò la vita a 12 persone, compiuto il 4 agosto 1974 a San Benedetto Val di Sambro), che arrivò da noi perché si trattava di investigare su una cellula neofascista ascolana che aveva collocato un ordigno esplosivo sulla linea ferroviaria Milano – Lecce, all’altezza di Silvi Marina. L’ordigno non esplose ma avrebbe sortito lo stesso effetto dell’Italicus, fu una vicenda enorme. Poi ho incontrato anche alcuni fatti importanti di omicidio, di situazioni legate alla tangentopoli abruzzese della metà degli anni ’90.

È stato anche a Milano affiancando il pool di “Mani pulite”.
Sì, sono stato a Milano in applicazione un anno: ho fatto il gip ed ero in affiancamento ai Trolitti. Anche quella è stata un’esperienza molto importante e formativa.

Adesso all’Aquila si sta occupando anche dei processi riguardanti il terremoto del 2009.
Sì, all’Aquila presiedo uno dei collegi della Corte d’Appello e in questi ultimi 2-3 anni ci occupiamo di tutti i processi che purtroppo sono scaturiti dalla drammatica vicenda del terremoto. L’ultimo grande processo che tanti ha fatto discutere è stato quello della commissione grandi rischi, ma anche processi dei drammatici eventi del crollo della casa dello studente, del crollo del convitto nazionale, delle varie vicende e poi delle vicende di malaffare, malcostume e ruberie che purtroppo intorno al terremoto si sono sviluppati.

Adesso si sta anche occupando della riforma della giustizia.
Ho partecipato ad un gruppo di lavoro che ha elaborato alcune idee, che sono state poi regolate al ministro e al suo staff, riguardo le possibili soluzioni di intervento di riforma della giustizia penale, io mi interesso di questo. È all’ordine del giorno perché adesso stanno per cambiare alcune cose: in parte dipese dal nostro lavoro, in parte no, perché come sempre in questi casi bisogna trovare mediazioni tra i vari casi.

Di cosa avrebbe bisogno la nostra giustizia?
Secondo me non ha bisogno di molto, ma di alcuni interventi decisi e coraggiosi.
In concreto, prima di tutto bisogna incidere in maniera radicale sul sistema della prescrizione: il nostro è l’unico sistema giuridico del mondo occidentale nel quale è possibile che un reato commesso venga dichiarato prescritto dopo che ci sono state due sentenze di primo e secondo grado e si arriva poi alla Cassazione.
Questo sistema è foriero di enorme aggravio giudiziario: in una prospettiva del genere, dove è possibile lucrare la prescrizione (che tutto cancella), qualsiasi avvocato anche di fronte alla sentenza più giusta del mondo, di fronte all’evidenza più evidente della responsabilità, propone tutti i mezzi di impugnazione possibili perché tende a ottenere la salvezza della prescrizione.
Questo è un sistema che moltiplica le impugnazioni e gli affari giudiziari. La previsione che si sta per varare in questi giorni a mio avviso non è totalmente soddisfacente ma è comunque un passo avanti. Inoltre bisogna cercare di limitare i mezzi di impugnazione: per intenderci, ci sono fatti processuali assolutamente di poco conto, come dicevamo prima, o fatti in cui c’è la fragranza di reato (quando il reato è soppresso sul fatto). In questi casi è ovvio che avere tre gradi di giudizio è eccessivo.
Fermo restando tutte le garanzie, si possono ridurre questi mezzi di impugnazione e lasciarli per le cose più serie. Ci sono anche cose che rendono il nostro sistema non funzionale, faccio un esempio: la settimana scorsa presiedevo un’udienza nella quale portavamo vari processi in Corte d’Appello e mi sono trovato a trattare un processo delicatissimo che riguardava una violenza sessuale nei confronti di una bambina e subito prima un “processetto” di una minaccia aggravata perché Tizio aveva detto a Caio “mi hai rotto… adesso ti ammazzo, ti sparo con la pistola”. Questi due fatti sono stati trattati nella stessa udienza e con lo stesso meccanismo. Ecco, penso che tutti comprendano che un sistema del genere non può funzionare: è come se sulla linea dell’Alta Velocità facessi viaggiare sia il treno dell’AV che un treno merci.

Giudice Manfredi, ci lasci con una parola di speranza per lo studente che si avvicina a questa carriera.
Lo studente per prima cosa deve avere una grande passione perché è un percorso difficile ed è difficile nel momento stesso dell’accesso: il concorso è (fortunatamente) serio e rigoroso e ci vuole impegno, e ripeto, ci vuole passione, bisogna credere in quello che si fa, perché un ottimo laureato in giurisprudenza, uno studente capace, che ha numeri, potrebbe avere scelte nella vita che sono anche più soddisfacenti sul piano economico, sul piano della propria soddisfazione materiale. Se si fa questa scelta bisogna essere consapevoli che è una scelta che va fatta con dedizione e partecipazione altrimenti si fa male e poi non si è buoni giudici.

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1 commento

  • silvana
    31/01/2017 alle 10:52

    Questo è il giudice che io e moltissimi vorrebbero,e' vero "la fede aiuta," apprezzo la sua frase,infonde fiducia. Mi sono piaciute le sue risposte.vorrei potergli parlare. Molto buona l'intervista

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