Stazione Quaresimale (38)

Di Alessandra Mastri

Vescovo Carlo Bresciani: “San Paolo, nell’ultimo capitolo della sua Lettera ai Corinti ci dice qualcosa di come si costruisce una comunità inclusiva.
Quando noi usciamo di casa, abbiamo evidentemente uno scopo: per cosa usciamo? Per vagabondare, oppure per abbandonare? Noi sappiamo che la casa è un luogo protetto, il rifugio dalle intemperie; custodisce anche gli affetti più cari e più profondi ed è il luogo nel quale noi li viviamo, che ci è caro e al quale ritorniamo volentieri per riposare o per ristorarci. Se la casa è questo, ci domandiamo allora cosa voglia dire uscire. Non è abbandonare, ma qualcosa di più, perché se è vero che la casa è un luogo protetto, è altrettanto vero che se non permette di uscire crea asfissia, porta perdita di vitalità. Ci deve essere comunicazione tra la casa e l’esterno perché ci sia vita. La casa è importante, ma è importante anche uscire di casa, per cui dobbiamo mettere assieme i due aspetti: non possiamo ignorare chi e cosa c’è fuori. C’è anche chi bussa alla nostra porta, e a volte è un po’ scomodo, ma ci aiuta a non illuderci che il mondo sia soltanto quello che viviamo in casa.
E’ importante avere una casa, ma è anche importante avere la Chiesa, non possiamo dimenticarlo. Da dove è venuta la vitalità della Chiesa primitiva di cui ci parla San Paolo? La Chiesa primitiva aveva una casa, Gerusalemme, dove Gesù aveva concluso la sua vita, fondato la Chiesa, e lì gli apostoli erano radunati. Questa casa per fortuna si è allargata, sotto una spinta tutta particolare che è stata addirittura la persecuzione: il fatto di essere perseguitati a Gerusalemme, costrinse i cristiani a disperdersi, ad uscire, ma non dimenticarono la loro casa e non dimenticarono Gesù. Nei luoghi dove andarono fecero conoscere Gesù e quell’uscita, sia pure costretta, è stata la vitalità della Chiesa, che ha iniziato a crescere e ad espandersi.
Anche San Paolo esce, non sta chiuso, restando però in profondo contatto con quella che potremmo chiamare la “casa madre” Gerusalmme; non la abbandona, ma ci ritorna per confrontare la propria fede. La Chiesa in uscita non è abbandonare, ma portare fuori. San Paolo inizia a girare il mondo e a Corinto fonda la prima comunità. In quella Corinto non c’era nessun cristiano, ma lui non ha paura di andare ad annunciare Gesù, mettendosi innanzitutto in ascolto. Ascolta quel mondo, cosa esso attende, e porta dentro quel mondo qualcosa, o meglio qualcuno di molto importante, Gesù.
Il primo elemento che possiamo prendere in considerazione è questo: andare senza pregiudizi nei confronti di nessuno, ma ricchi di un’esperienza personale di fede; noi non usciamo di casa nudi, ma rivestiti della fede, cioè consapevoli che abbiamo qualcosa da dare e qualcosa da ricevere. Bisogna fare discernimento, e lo facciamo se apriamo le porte, se guardiamo fuori, altrimenti la casa diventa troppo protettiva e forse anche un po’ troppo comoda.
San Paolo incontra una cultura diversa dalla sua: lui, ebreo, si trova davanti la cultura greca, e deve aprire la Chiesa a questa cultura nuova, con molta fatica, ma è fedele fino in fondo al Vangelo di Gesù. Fonda la comunità di Corinto e dice cosa deve essere questa comunità. Prima di tutto ricorda a questa comunità che i fedeli devono fare una colletta, raccogliere soldi in favore dei santi (i cristiani di Gerusalemme), come poi sarà ordinato a tutte le chiese fondate da San Paolo.
La chiesa di Gerusalemme era effettivamente nel bisogno, ma San Paolo attraverso la colletta sta affermando l’importanza del l’unità della Chiesa, dice alla chiesa di Corinto che non si può disinteressare delle altre chiese, compresa quella di Gerusalemme, non può dire di bastare a se stessa, ma si deve aprire alle altre comunità. La chiesa di Corinto non è una chiesa ricca, può dare poco, ma San Paolo ricorda che il punto è la fraternità, perché è così che si costruisce l’unità. C’è una corresponsabilità della fede che riguarda tutti i fedeli; san Paolo ha portato il messaggio evangelico, ha fondato diverse chiese, come in Macedonia e ad Efeso, e tra tutte c’è l’unità nella fede. Questo è il senso puro della colletta, che quindi è un invito a costruire comunità ecclesiali non chiuse su se stesse e sui propri bisogni.
San paolo scrive che sono chiesa a Corinto, ma devono essere chiesa che tiene presente i bisogni degli altri, che impara a condividere il poco che ha. Questo che tocca tutti noi: non si tratta di uscire con il corpo, ma uscire dalle diverse forme di egoismo, egocentrismo, anche egoismo di gruppo ed egoismo parrocchiale. La Chiesa è molto di più.
“Ogni primo giorno della settimana ciascuno di voi metta da parte ciò che è riuscito a risparmiare”. Perché dice “ogni primo giorno della settimana”? Il motivo è molto importante, e anche qui c’è un insegnamento. Il primo giorno della settimana è la domenica, il giorno del Signore, il giorno in cui si ricorda il Cristo Risorto. “Quando vi trovate a celebrare l’Eucarestia, non potete celebrarla chiudendovi su voi stessi, ma proprio in quel giorno in cui siete uniti e celebrate la carità di Cristo ricordatevi di tutte le altre chiese, ricordatevi degli altri”.
San Paolo unisce la celebrazione della resurrezione con l’unità della comunità. La resurrezione del Signore porta la comunità ad essere unita a celebrarla, ma in quel giorno insieme al pane eucaristico si condivide, nella corresponsabilità della chiesa. C’è un senso profondo di Chiesa, il senso più profondo della celebrazione dell’Eucarestia: non possiamo mai celebrarla semplicemente in una chiusura intimistica in noi stessi. Un conto è l’incontro intimo con il Signore, un conto è l’incontro intimistico – io e il mio Dio, del resto non me ne importa niente – non è questa la chiesa di cui ci parla San Paolo, non è questa la chiesa che vuole Gesù Cristo.
San Paolo esce e va in tutto il mondo conosciuto di allora, ma quell’uscire non è la dispersione della famiglia o della Chiesa, al contrario è il costruire più profondamente e intensamente la Chiesa stessa. In questa maniera San Paolo mostra che non si tratta solo di andare incontro alle necessità materiali (Gerusalemme aveva i suoi poveri), non si tratta soltanto delle opere di misericordia corporale, che pure sono fondamentali e fanno parte della nostra vita cristiana: Paolo predica la Parola e invita alla condivisione tutti, unisce la preoccupazione materiale con il nutrimento spirituale.
San Paolo esce a predicare, ma non va da solo, non porta soltanto se stesso, perché il Vangelo non è opera di singoli, ma è di Chiesa, di comunità. Proprio il fatto che vada con Apollo crea nella chiesa di Corinto una contrapposizione, ma San Paolo la respinge: siamo insieme non per dividerci, ma per riconoscerci. Apollo ha così la capacità di tirarsi indietro, per non avere divisioni nella comunità, perché prima viene la Chiesa e l’amore di Gesù.
Uscire, per avere comunità aperte verso le altre, per saper condividere con chi è nel bisogno, materialmente e spiritualmente, per celebrare insieme l’unità della Chiesa e crescere insieme. Queste riflessioni possono indicarci il primo modo per vivere questa nostra Quaresima, perché ci riguardano tutti.

Possiamo riassumerle in tre punti fondamentali:
1) Abbiamo una casa, la Chiesa, non dimentichiamocelo. Non dimentichiamo il primo giorno della settimana, è giorno soprattutto della celebrazione del Signore Gesù risorto, da vivere insieme.
2) Non possiamo chiuderci nella nostra casa, dobbiamo uscire, ascoltare, incontrare ed aiutare.
3) San Paolo ci parla di colletta e condivisone per le necessità della Chiesa e il fatto che Apollo, Timoteo e Paolo vadano insieme, ci sollecita a non dividerci, ma a camminare insieme. Tanto più camminiamo insieme e cerchiamo, con tutte le fatiche, di superare le divisioni che ci sono anche tra coloro che credono nel Signore, tanto più siamo capaci di manifestare il volto glorioso di Cristo. È un cammino che con umiltà, ma con grande decisione, invocando la Grazia del Signore, tutti insieme dobbiamo compiere, perché questo il Signore Gesù vuole da noi.

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